18 novembre 2008




di Cristiano Boccuzzi
FGS Bari



Perché è pericoloso trasformare le università pubbliche in fondazioni.


NOZIONI DI DIRITTO: Il nostro codice civile riporta la fondazione all’articolo 12 sotto la nota di “Persone giuridiche private”. In effetti, le fondazioni sono enti giuridici privati senza finalità di lucro, che hanno a disposizione un patrimonio da destinare a determinati scopi: religiosi, culturali, educativi, scientifici o altri. È costituita da uno o più soci fondatori ed ha un’organizzazione propria e propri organi di governo. Utilizza e gestisce le proprie risorse. La si costituisce per realizzare lo scopo del fondatore (di regola altruistico) e si realizza in piena autonomia del fondatore.


LA LEGGE 133 STABILISCE: che gli atenei pubblici possono deliberare la propria trasformazione in enti di diritto privato, adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Le fondazioni così costituite diverrebbero proprietarie dei beni immobili già in uso alle singole università trasformatesi: esentasse, sostenute dai contributi finanziari che riceverebbero dai privati ed ovviamente fermo restando il finanziamento pubblico: proprio l’aumentata capacità di attrarre capitali dall’esterno, quindi di pesare meno sul bilancio dello Stato, è uno degli obiettivi che il Governo persegue con la previsione contenuta nella manovra. Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile finalizzata al rispetto dell’equilibrio del bilancio (che dovrà essere redatto con cadenza annuale). Lo statuto della fondazione può prevedere l’ingresso nell’ente di nuovi soggetti, anche privati. La vigilanza sulle fondazioni è esercitata dai Ministri dell’Istruzione e dell’Economia, sottoposte al controllo contabile della Corte dei conti e se dovessero violare le leggi sulla corretta gestione potrebbero essere commissariate dal ministro dell’Istruzione che entro 6 mesi nominerebbe i nuovi amministratori.


VOCI UNIVERSITARIE – PROFESSORI, STUDENTI, RETTORI: Un gruppo di docenti italiani chiedeva ai rettori di manifestare il loro dissenso ai provvedimenti della 133/08 con il “blocco dell’apertura dell’anno accademico” poiché “trasporre l’esperienza delle università private americane in Italia significa in realtà condannare tanto le università pubbliche quanto quelle private a un sicuro destino di irrilevanza”. L’Udu (Unione degli universitari) teme che la trasformazione in fondazioni “darà all’università la possibilità di adottare nuove forme di contratto per i suoi dipendenti che potranno destabilizzare ulteriormente un apparato amministrativo già in grande difficoltà” oltre al pericolo “di un aumento incontrollato delle tasse universitarie”. La Conferenza dei Rettori in un documento faceva notare come la previsione contenuta nell’art. 16 rappresenti “una via alternativa che non è percorribile, anche se intendesse farlo, partendo da condizioni di dissesto e in assenza di altre garanzie”.


FOCUS: AUTONOMIA (D)ISTRUZIONE: in realtà con l’autonomia si concederebbe al fondatore di decidere chi assumere, quando assumerlo ed in quale posizione, mettendo in grave pericolo sia il concetto pratico di “meritocrazia” al quale la legge 133/08 non accenna affatto, sia contrastando l’art. 3 della Costituzione per il quale “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […].” Si violerebbero i già tanto violati artt. 33 e 34 della Costituzione italiana dove diritto allo studio è inteso come il diritto ad un accesso universale a livelli d'istruzione di base, ed un accesso meritocratico ai livelli più alti d'istruzione superiore e universitaria. Quindi... di male in peggio: se prima della riforma il diritto allo studio (???) era garantito solo se adempienti al pagamento delle tasse (che diritto è un diritto tassato?), con la riforma lo stesso diritto non è più neanche garantito perché non sta ad enti pubblici (nell’interesse pubblico) di scegliere né il come né il quanto né a chi.

(Compiti a casa: cerca la parola “meritocrazia” nel testo di legge. Risultato: zero!).


FOCUS: INVESTIMENTO (D)ISTRUZIONE: in realtà l’argomento fu intrapreso in un lungo viaggio in treno. Un grande amico di sempre mi faceva notare che certamente ci sarebbero grandi imprenditori di grandi imprese settentrionali che sarebbero certamente disposti ad investire in università. Al nord. Ma al sud? Il Corriere della Sera del 22 ottobre 2007 titola così: La mafia? «È la prima azienda italiana. Novanta miliardi di fatturato annuo, pari al 7% del PIl. L'allarme in un rapporto di Confesercenti» . Chi lo sa, al Sud forse l’istruzione passerebbe in secondo piano rispetto al facile guadagno: 10.000 euro l’iscrizione annuale (Bocconi style) esami irrisori (30 politico per tutti) ed ecco fatto l’esamificio per i ricchi meridionali. L’economia ci insegna che ad un aumento degli iscritti ci sarebbe un aumento delle entrate, quindi una riduzione delle tasse meno che proporzionale rispetto all’aumento degli iscritti. Ma chi l’iscrizione annuale non può affatto permettersela? Ai posteri l’ardua sentenza (ed intanto… la mafia raddoppia le sue entrate).


FOCUS: QUALITÀ E RICERCA (D)ISTRU(TTE): l’obiettivo di questo Governo è recuperare 456 milioni di euro per l’anno 2009; 1.650 milioni per l’anno 2010; 2.538 per l’anno 2011; 3.188 milioni per l’anno 2012. Il tutto tagliando ANCHE dall’Istruzione. Conseguenza: stipendi sempre più a rischio. Alla situazione odierna, i salari annuali nella scuola media pubblica dopo 15 anni di carriera (in migliaia di dollari): 31.890 in Italia rispetto alla media OCSE pari al 40.682. Peggio dell’Italia solo l’Ungheria e la Repubblica Ceca. Nel rapporto pubblico – privato gli stipendi offerti dal privato di molto supereranno gli stipendi offerti dal pubblico (in fin di vita), conseguenza sarà una forte migrazione dei professori con maggiori competenze verso le università private: le università pubbliche, intanto, avranno sempre un numero minore di iscritti fino all’estinzione. Nel rapporto privato – privato più fondatori si contenderanno i professori/ricercatori migliori (principio di concorrenza). Risultato: scomparsa delle università pubblica. L’istruzione dipenderà esclusivamente dalle capacità economiche di pochi. Irrisoria qualità dell’istruzione pubblica.

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