5 aprile 2009

5 APRILE "SINISTRA E LIBERTA' " :presentazione regionale . Intervento di Gianvito Mastroleo , Presidente della Fondazione "Di Vagno".

di Gianvito Mastroleo
Bari -Fiera del Levante 5 aprile ’09
Compagne e compagni,
noi siamo molto grati a chi ha avuto a cuore che nella presentazione pugliese di “Sinistra e Libertà” non fosse mancata la nostra testimonianza, che - di là da quello che a titolo individuale riusciamo a rappresentare - vuole essere più di tutto la presenza di un mondo che tra passato e presente non rinuncia a cercare una via di uscita, una soluzione per le grandi difficoltà che impegnano la sinistra rinunciataria ma anche la sinistra che pur alle idee nuove non intende sacrificare la propria identità.
Un mondo che respinge l’irrisione ormai ossessiva per le «obsolete culture dell’ottocento» verso le quali, piuttosto, non sarebbe male un maggiore rispetto, per il loro ruolo determinante nella civilizzazione e democratizzazione del paese, e nelle lotte per rendere protagoniste masse di esclusi e di emarginati; e che, al contrario, coltiva la fatica affinché, partendo da quelle culture, si possa tornare al principio costituente della Repubblica di Stato e di popolo e non Repubblica di Partiti nei quali l’Italia si è progressivamente inverata.
Svolgendo il lavoro della Fondazione in nome della quale ho accolto con entusiasmo di portare l’adesione – impegnata in questi anni fra l’altro nel progetto “memoriademocraticapugliese”, ormai in rete e indicato come modello e vissuto come il contrario del “già visto”, ci accorgiamo che la trasformazione politica e la crescente globalizzazione nel cui turbine siamo stati travolti in quest’ultimo ventennio ci condanna a vivere in un’emergenza ininterrotta e ci pone nella condizione di vivere il futuro più come una minaccia o una paura, che come una speranza; costringendoci spesso al rifugio - forse inconsapevole, forse eccessivo - nel nostro passato, alla ricerca di radici da riscoprire e da esibire e nelle quali si ritrovano quelle idee, quelle speranze collettive alle quali non riusciamo a contribuire per mancanza di luoghi idonei di produzione di quelle idee e di confronto.
Cari compagni, avvertiamo una deliberata e consapevole discesa nell’oblio, «uno slittamento dal piano caldo e attivo della Memoria a quello più freddo e lontano della nostra Storia», com’è stato di recente scritto: laddove, invece, solo la Memoria, quell’eredità che non ci parla in maniera “indiscutibile” ma che ha bisogno giorno dopo giorno d’essere reinterpretata, trascritta in nuovi concetti, nuovi simboli e nuove metafore, ci consente di legare passioni, ansie e delusioni del passato con le speranze verso un nuovo domani.
Nell’agosto del 2008 Walter Veltroni scrisse testualmente: «la frenetica bulimia del presente, vera epidemia del nostro tempo, è la perdita della memoria, la sensazione che lo ‘spirito del tempo’ tenda a cancellare il passato, la storia collettiva, le tragedie e le rinascite».
Peccato che nei mesi nei quali guidò il PD quella bulimia, come un’ossessionante ideologia, avesse contagiato primo fra tutti lui per primo, con danno irreparabile per l’intera sinistra; bulimia dalla quale ci auguriamo possa tornare disintossicato, al termine di quell’esilio che gli fa onore.
Ma questi temi a sinistra non sono nuovi: ci rinviano, ma con straordinaria attualità, di qui ad un secolo addietro lungo la nostra storia, alla quale mi consentirete un timido riferimento.
Nel 1914, Gaetano Salvemimi – ormai unanimemente indicato come uno dei più grandi pensatori del secolo passato - rispondendo a Rodolfo Savelli, l’amico che invece non ci credeva più, scriveva di «credere ancora al Socialismo», aggiungendo che non c’è bisogno di credere «né al plusvalore, né alla concentrazione capitalistica, né alla miseria crescente, né alla crisi finale rivoluzionaria. […] Il socialismo non è in questi principi teorici - affermava - è piuttosto nel fatto della classe proletaria che si organizza e lotta per la fine di ogni privilegio, creando teorie nuove, via via che le antiche sono corrose dalle nuove esperienze, cadendo, rialzandosi, errando, correggendosi, provando, riprovando. Ecco il centro incrollabile della mia fede».
Ecco compagni, ai frustranti tentativi di rimozione di una grande tradizione più che lo stato d’animo dell’«amante deluso» molti di noi avvertono quello dell’«amante imbrogliato», consapevoli - prima che altri ci costringano - che di qui a non molto con questo tema dovremo misurarci.
Quando cioè, pur non disconoscendo continuità tra innovazione e tecnologia, reti finanziarie e mercato, quando cessato l’interventismo pubblico dell’emergenza che ha restituito più Stato, più regole, e ciò che oggi addirittura la destra europea rivendica con maggiore insistenza, e cioè mercato meno sregolato e selvaggio, si dovrà pur decidere che tipo di nuova società e di nuovo sistema stiamo costruendo: quei “fondamentali” da riscoprire, primo fra tutto il lavoro ormai anch’esso più una paura che una speranza, come reclama giustamente Nichi Vendola nell’intervista di ieri.
Si chiamerà socialista, socialdemocratico, laburista, forse, pur di sottrarsi all’inesorabile regola della Storia che non avanza senza revisione, s’inventerà un’altra definizione.
Ormai non è il nome che conta ma i contenuti, quelli che di là dai nostri sempre più angusti confini rinvia tutti alla grande tradizione delle socialdemocrazie europee; tuttavia è certo che qualcosa di nuovo e di diverso occorrerà costruire: recuperando il divorzio -oggi sempre più insanabile - tra Politica e Cultura, tra quelli che un tempo erano definiti, e spesso solo utilizzati, ‘intellettuali’ e gli attori della politica.
Ecco, per concorrere a tutto ciò, cari compagni, per conservare più che il nome una grande tradizione, noi crediamo che Sinistra e libertà oggi possa essere il luogo, il contenitore adeguato.
Un ‘luogo’ con una strategia che vada ben oltre la ristrettezza di un appuntamento elettorale che, anzi, a noi interessa proprio per questo, perché solo così riusciremmo a perdere le paure e a recuperare le speranze.
Un luogo all’interno del quale possa e debba, appunto finalmente, possa e debba sopravvivere una sinistra nuova, con i suoi tanti giovani, ma anche con quelli come noi che hanno la forza di non abbandonare perché la coerenza più che l’ìinteresse è il valore più grande anche in politica.
Buon lavoro, a tutti noi, compagni.