14 dicembre 2009

CANIO MUSACCHIO -fra Riformismo e rivoluzione-

Nel centenario della Morte
Gravina di Puglia 11dicembre 2009
di Gianvito Mastroleo
Stralci della presentazione storico politica del Presidente della Fondazione "Di Vagno" , Gianvito Mastroleo.
Grato ai compagni che mi hanno voluto invitare, ho innanzitutto il dovere di testimoniare che per parlare di CANIO MUSACCHIO, l’ «Apostolo del socialismo pugliese, il Tribuno del popolo», uno dei fondatori del socialismo e del sindacalismo in terra di Bari, liberi da ritualità celebrative e per comprenderne l’attualità, non si può prescindere dallo studio: «Alle radici del socialismo in terra appulo lucana»…
…dando voce agli storici nazionali per definire il ruolo svolto da Canio Musacchio Sindaco, consigliere comunale e provinciale, con la passione del socialista contro le discriminazioni e disuguaglianze, e con la tempra del sindacalista in favore delle masse operaie diseredate, incolte e povere della terra di Bari, per la redistribuzione del reddito, per l’elevazione dall’abisso della miseria nella fase in cui la società agricola schiudeva il primo orizzonte verso la nascente industrializzazione . (…)
(…)E’ scritto e documentato che Canio Musacchio per la sua lotta politica, non per sue private scorribande, ha affrontato processi, ha subito condanne e finanche il carcere.
Nel 1907 a Gravina la festa del primo maggio è spostata a giugno, per attendere la sua scarcerazione.
Mi hanno colpito la serenità con la quale incontra i giovani, ai quali – è scritto - dona la bandiera « […] bagnata dalle lagrime delle vostre madri […]» che era stata confezionata per lui; e le parole celebrative per quel primo maggio differito.
Un messaggio di speranza nell’avvenire rivolto a «[i giovani, che] vedranno tutto il genere umano governato dalla legge del lavoro, e vedranno i beni della terra – acqua, luce, pane […] equamente ripartite fra gli uomini […] troveranno nell’Istruzione i doni più grandi e portentosi.»
Non anatemi verso magistrati o carcerieri, dunque, ma parole serene, pronunciate senza rancore da un uomo ormai divorato dalla malattia, consapevole tuttora che i grandi cambiamenti hanno bisogno di un orizzonte utopico, la costante della sua vita, da indicare ai giovani come via maestra per il futuro.
Un grande insegnamento, per oggi e per chiunque.
Questa la ragione che ci obbliga a custodire la sua come tutta la nostra Memoria, per applicare al presente quel che la Memoria ci tramanda, e non per guardare ad essa dallo specchietto retrovisore, come ad un simulacro.
Custodire la Memoria, infatti, è l’unica premessa per creare il futuro con tensione ideale verso l’utopia, con il fascino che alcune parole antiche, fra esse il Socialismo, riescono tuttora a trasmettere.
E per respingere l’idea che la politica, come sarebbe entrata nell’immaginario dell’oggi, sia un misto di personalismo, di opportunismo, di comunicazione solo per immagini, qualche volta di affarismo diffuso.
La Memoria ci trasmette che la politica è innanzitutto credere in qualche cosa, professare valori e sapersi battere per le idee, e non piegarsi all’opportunità del momento, né irrigidirsi nell’isolamento delle proprie convinzioni svincolate dalla realtà in cammino.
E, dunque, che la politica non può vivere prescindendo da una forte visione del mondo, e non è un giocattolo frantumato che consegna al presente memorie senza più fascino e ricordi che non scaldano il cuore.
Lo spirito del tempo si alimenta, è vero, di una frenetica bulimia del presente, rifiuta i valori e la coscienza che vengono dalla storia perché inutili, con ciò alimentando la perdita dello spirito pubblico.
Oggi, anche per quello che trasmette la memoria di Musacchio, è tempo di pensare al futuro della politica giacché la cultura del passato (della quale sbrigativamente da qualche parte ci si vorrebbe liberare) segnala con prepotente attualità - con le disuguaglianze che crescono, con le morti sui luoghi lavoro, con i giovani che rassegnati rinunciano a cercarlo - che intelligenze, energie, disponibilità debbono cristallizzarsi attorno programmi e obbiettivi che abbiano il sapore ad un tempo del realismo e dell’utopia.
In definitiva, del Riformismo e di un moderno Socialismo (spero di essere perdonato se orgogliosamente rivendico la mia appartenenza) l’unica cultura che, di là dalle sue non altrettanto fortunate forme organizzative, regge l’urto del tempo che passa, perché forte della passione di coloro che vi hanno creduto e credono tuttora. E che ci ha tramandato un patrimonio di valori e di esempi, una carica di intelligenze e di cultura, di generosità, ancora oggi in grado di esercitare, per chiunque voglia esplorare e preservare le radici della nostra democrazia, una suggestione senza eguali. (…)