di GIANVITO MASTROLEO
(Pubblicato da Corriere del
Mezzogiorno del 21 ottobre 2012)
Quello che accade sul riordino
istituzionale, se non paradossale, appare del tutto inefficace perché in sede
nazionale, ma anche locale, sia assicurata più Democrazia.
L’emergenza dello spending review o della necessità di
fronteggiare i vari casi di mala-politica e l’abuso di autonomia negli enti
locali, regioni comprese, inducono a ricorrere alla legislazione di emergenza, com’è
accaduto altre volte: per terrorismo e mafia, per sistemi elettorali e
ordinamento delle autonomie locali (controlli, elezioni dirette, ma soprattutto
poteri relativi) nel 1993 ai primi bagliori della tangentopoli d’allora.
Le cosiddette “riforme Bassanini”, da
non considerare “sciagurate”, furono il frutto della stagione della Repubblica
delle Autonomie e della sua cultura del Federalismo e dell’anti-centralismo a
lungo maturata all’interno dei partiti e del sapere accademico: solo che stanno
producendo effetti quando invece la pre-condizione
è del tutto cambiata.
Il senso della unitarietà dello Stato
e dell’interesse generale, il suo ruolo nei processi di sviluppo democratico dovrebbero
essere sempre a fondamento delle azioni e dei comportamenti ai vari livelli di
governo e invece sono in discussione. I partiti hanno perso la funzione di
rappresentanza della società, l’eletto esercita la sua delega più che in nome
collettivo, come un potere autonomo che via via genera sempre più personalismo,
individualismo, populismo.
L’interesse per il territorio dell’eletto prevale rispetto
a quello generale; il localismo, che l’elezione diretta ha esasperato in
conseguenza del bisogno di consenso prevalentemente personale, ha preso il
sopravvento; il diritto-dovere d’opposizione è esercitato in funzione solo di
un veto.
Un insieme affermatosi nel Paese, come
in sede locale, sicchè paradossalmente (speriamo di nò, naturalmente!) la
Regione Puglia, abdicando alla precipua funzione di concorrere attivamente al
riordinamento istituzionale, per non dispiacere, potrebbe prendersi il lusso di non decidere, per dirla con Franco
Botta; mentre esponenti di regioni del nord, che in questo momento avrebbero
dovuto scegliere la via del silenzio, teorizzano con le macro-regioni, la morte
del federalismo, come antidoto ad una gestione a dir poco disinvolta.
Di macro-regioni si parlò già a
ridosso del loro avvento nei primi anni ’70, ma con argomenti e una spinta culturale
ben distanti dalle miserie dell’abuso di autonomia dei gruppi consiliari: quando il centro sinistra (se ne conservano
tuttora gli atti), con Antonio Giolitti a capo della programmazione, pensava,
fra l’altro, alle autostrade dei mari adriatico e tirreno per lo sviluppo
dell’economia, dei servizi pubblici, per il divario nord-sud e per fronteggiare
il dissennato sviluppo del trasporto su gomma di uomini e merci.
La risposta alla crisi di oggi,
perciò, non è la legislazione d’emergenza, che ancora una volta non darebbe
buoni risultati e risulterebbe vana, mettendo solo in discussione valori e principi
che vengono in particolare dalla grande tensione ideale e culturale dei nostri
Costituenti, ma una nuova stagione costituente a tutti i livelli: lo Stato come
le Regioni.
In Puglia, presto oggetto di un vero
terremoto istituzionale, d’intesa con la cultura, la politica dovrebbe pensare
ad una forte iniziativa per analizzare tutte le questioni inerenti l’assetto
delle istituzioni, e relativi poteri e funzioni, da consegnare al nuovo governo.
Nello Stato, affidando ad un’Assemblea Costituente la revisione della
seconda parte della Costituzione, ma all’interno di un disegno organico che assicuri
più Democrazia anziché la sua regressione, come sta accadendo.
Un’idea che si spera possa interessare
chi si prepara, o si sia già candidato a qualcosa.