16 ottobre 2007

Un’idea senza età! - di Antonio Isgrò

In occasione di un convegno in cui i progressisti francesi si sono interrogati su come "traghettare la sinistra" nel XXI secolo, Anthony Giddens ha giustamente sottolineato che, nel dibattito politico attuale, non si può non tener conto del conflitto tra conservatorismo e modernizzazione. Ed il conservatorismo, a sua volta, non può essere identificato in modo esclusivo con la destra politica, essendo un elemento distintivo di parti della sinistra che bisognerebbe convincere ad imboccare nuove strade.

Una tesi su cui, con le dovute cautele, si può essere d’accordo. Ciò che invece dell’analisi del famoso intellettuale europeo non convince è l’idea che il socialismo, concepito come risposta alle ingiustizie prodotte dalla società industriale ottocentesca, sia ormai superato al cospetto di un modello di
organizzazione collettiva molto diverso, con attori e forze che non sono più quelli d’un tempo. Una tesi che, per la verità, sarebbe condivisibile solo se l’idea socialista fosse rimasta ancorata ad analisi, battaglie e obiettivi di allora.



La società è cambiata, è vero, ma anche il socialismo ha subito un’evoluzione e non certo o non solo per motivi partigiani. Se ci soffermassimo al solo caso italiano come potremmo non registrare l’evoluzione del PSI nel dopoguerra, il suo distacco dal PCI più forte e organizzato d’Occidente e l’adesione ad esecutivi che, seppur con molti limiti, hanno introdotto elementi di riformismo nella società italiana. Il conflitto sociale cui abbiamo assistito per decenni è stato in gran parte ammortizzato, e non solo perché nuove categorie hanno preso il posto delle antiche classi, ma anche perché sin dagli anni ’70, Governo e parti sociali hanno avviato un nuovo modello di relazioni politiche ed industriali, basato sul superamento progressivo dello scontro attraverso la strategia della concertazione e del bilateralismo. Una strategia che ha dilatato la fase preventiva della consultazione, portando in numerosi casi lavoratori e sindacati a condividere le ragioni dell’impresa, con un dialogo costante tra organismi paritetici istituiti a tale scopo. In questo campo i socialisti riformisti hanno dato un notevole contributo, pur cercando di salvaguardare la dignità e le esigenze del mondo del lavoro.



La sinistra si è sempre avvalsa di disparati apporti culturali, a volte molto diversi ed in contraddizione tra loro. Anche per questo non bisognerebbe oggi cristallizzare i giudizi o pensare che, in ogni parte del mondo, persino all’interno di uno stesso Paese, vi sia un unico blocco culturale, una sola tipologia di analisi.
E’ importante ricordare ai diversi interlocutori che essere riformisti significa comprendere che la società globale si evolve costantemente, taglia grandi traguardi di sviluppo, ma produce anche nuove ingiustizie. Soprusi vecchi e nuovi si mescolano. Povertà, violenza, illegalità e sperequazioni, richiedono interventi incisivi in difesa della dignità umana. Solo un’idea forte di giustizia sociale può essere la risposta a così tante storture.
E’ evidente che il socialismo del Terzo Millennio non può rapportarsi ad una realtà che non esiste più: la società industriale degli ultimi due secoli. I poveri, gli indifesi, gli emarginati, però, esistono ancora.



I proletari del XIX e XX secolo lavoravano, senza diritti e tutele, nelle fabbriche e nei campi (e ciò, per la verità, accade ancora nei Paesi in via di sviluppo). I proletari di oggi sono i giovani diplomati e laureati, i genitori single, gli anziani non autosufficienti, i precari, i disoccupati di lungo corso ed i manovali del lavoro nero. A loro il socialismo riformista dedica grande attenzione e non certo perché si è appropriato di altre culture (da qualcuno ritenute un tributo inevitabile da pagare alla propria sopravvivenza), ma in ossequio alla sua storia, alle sue scelte di campo che, oggi come allora, lo portano ad interessarsi alle fasce più deboli.
Che dire poi dei miliardi di uomini e donne che vivono con meno di un dollaro al giorno nelle periferie delle grandi metropoli, a ridosso delle discariche o, come ricorda Alex Zanotelli, nei "sotterranei della vita e della storia"? Persone con difficoltà di accesso a cibo, acqua, medicine, istruzione. Il colonialismo economico, molto più subdolo di quello politico, ha sfregiato moltitudini di individui, lacerato popoli e mascherato i propri interessi con presunte guerre etniche, religiose e tribali, sfruttando fondamentalismo, satrapie locali e microcriminalità. Un mare melmoso in cui tuttora nuotano tanti pescecani.



La riflessione di Giddens, riportata in Italia dal quotidiano "la Repubblica", abbraccia altresì il ruolo dell’Internazionale Socialista e la necessità che si adegui, anche a livello organizzativo, ai nuovi tempi, ma ciò, lo ribadisco, non può tradursi nel "de profundis" del socialismo e, in particolare, di quello riformista. Il tema centrale nella riflessione della sinistra europea è e rimane "la riforma del Welfare", che non deve essere demolito, ma rivisto. I fautori del Partito Democratico e di quanti, nella Penisola, in queste settimane, hanno preso spunto dagli incontri parigini per lanciare la volata a Veltroni & company, lo sottolineano a gran voce, dimenticando, però, che da tempo anche i riformisti ne sono convinti, a tal punto da chiedere una redistribuzione della spesa sociale, affinché all’interno del nostro sistema non vi sia un uso distorto degli strumenti di protezione, con la contemporanea presenza di persone protette in modo eccessivo e di altre abbandonate a sé stesse.
Proveremo a spiegarlo al Paese, così come chiariremo le ragioni della Costituente Socialista, con entusiasmo ma anche con rispetto, ponendoci in posizione di ascolto delle varie istanze e dialogando con tutti. Perché la politica esca, in modo definitivo, dalla stanza dei bottoni e si trasformi in confronto aperto coi cittadini.

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