20 dicembre 2008

E’ finita l’avventura, dopo 116 anni, del Partito Socialista in Italia?


di Franz Errico

E’ finita l’avventura, dopo 116 anni, del Partito Socialista in Italia? O, più propriamente, è finita l’esperienza del socialismo democratico e liberale nel nostro singolare Paese?
Se ci riferiamo a un modo di interpretare e dare un senso alle dinamiche di cambiamento, governare le ingiustizie e le ansie del mondo contemporaneo, non credo. Se pensiamo invece al tramonto di un Partito, per quanto glorioso, temo sia possibile. Le organizzazioni sociali possono deperire, le buone idee sono più resistenti al logorio dei tempi.
La grande virtù del socialismo democratico è quella di coniugare in una sintesi felice i principi del liberalismo con quelli del socialismo. La dimensione individuale della vita delle persone con la dimensione collettiva del vivere insieme. Disse un giorno Indalecio Prieto, indimenticato esponente del PSOE: a furia di essere liberale, sono diventato socialista.
E’ possibile che la sfida di mantenere viva l’esperienza del socialismo riformista in Italia sia stata cosa più grande dei socialisti.
Il socialismo democratico non ha mai avuto vita facile in Italia. Il PSI ha sempre avuto in fondo una dimensione inferiore alla sua missione. Stretto fra le culture dominanti antiliberali democristiana e comunista, ha tentato un’eresia insidiosa. Fondare, negli anni ’80, una sinistra liberale e occidentale, orientata da un ritrovato umanesimo: l’uomo viene prima delle organizzazioni; prima dello Stato, del Partito, delle Chiese e alfine il lavoratore prima della classe. L’atteggiamento avuto durante il caso Moro fu il gesto che ne consacrò l’esordio.
Il momento di massima espansione di questa cultura e di massima espansione del PSI, diventato ormai un partito di dimensioni medio-grandi, ha di fatto coinciso con il suo tramonto: era troppo bella e troppo pericolosa per durare a lungo. Ma il calcolo si è rivelato sbagliato: la fine del PSI ha significato anche la fine di chi voleva sbarazzarsene.
Il Partito Socialista, il 13 e 14 aprile, non ha subìto una sconfitta elettorale: è uscito dalla coscienza di questo Paese.
Bettino Craxi disse, negli ultimi anni della sua vita, che i socialisti non hanno amici, né a destra, né a sinistra. Veltroni e il PD non avevano l’obbligo e neanche la convenienza ad aiutarci a sopravvivere. Contare solo sulla carità degli altri, significa essere ridotti piuttosto male. Un atteggiamento più benevolo da parte del PD ci avrebbe consentito di eleggere tre o quattro dei nostri dirigenti nazionali al Parlamento, non di far rinascere una cultura socialista e riformista nel nostro Paese.
Le prime riflessioni sul risultato elettorale mi sembrano ancora tese all’auto assoluzione.
Il Partito Socialista ha assistito passivamente all’impopolarità del Governo Prodi, sostenendolo fino all’inverosimile; andava invece costruito un Partito aperto, coinvolgendo davvero e in modo attivo tutti coloro che si avvicinavano o si riavvicinavano al Partito Socialista, con una elaborazione culturale non autarchica, coinvolgendo e dando un ruolo a personalità ed Istituzioni culturali che sempre sostengono ed interagiscono, non come ospiti ma da protagonisti, nella vita dei Partiti che vogliono definirsi tali.
Rino Formica, in un bellissimo intervento a Conversano durante la campagna elettorale, quasi presagendo il risultato elettorale, ha invitato i socialisti a ricominciare dai comuni, dove ancora esiste una dignitosa rappresentanza e io condivido: Andrea Costa, ancor prima di essere eletto deputato, aveva organizzato il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva i diritti degli umili, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per le riforme politiche ed economiche.
Si avanza l’ipotesi di un Congresso a giugno. In poche settimane si possono postare perdine e ridefinire organigrammi: un ineffabile rituale davanti ad un Paese che non ci ascolta perché ha cose appena appena più importanti a cui pensare.
E allora, se Congresso deve essere, lo si faccia davvero: si confrontino liberamente e senza pregiudizi idee, percorsi, proposte. E lo si faccia partendo dai territori, dai comuni. Sarebbe più dignitoso chiudere bottega piuttosto che riverniciare partiti personali e comitati elettorali.

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