17 marzo 2009

Di Vittorio e il melodramma .





di Gianvito Mastroleo

Presidente Fondazione "Di Vagno"


Cinque milioni e più di telespettatori: melodrammatica, sentimentalista finché si vuole, “Pane e Libertà”, la fiction che ha restituito Di Vittorio al grande pubblico, ha suscitato emozioni dimenticate se non sconosciute.
Verosimilmente è piaciuta per questo: la morte di Michele e di Ambrogio, i cavalli scalcianti sul corpo di persone stremate, centinaia di braccianti, uomini e donne, accucciate sulla paglia; e poi Peppino, a soli otto anni costretto a sollevare un vaso più grande di lui per il lavoro, il suo libro con “tutte le parole del mondo” per il quale dà anche quel che non ha; o vestito come i signori; o spavaldo, che osa sfidare il padrone a tavola con a fianco uno di quei preti sempre fedeli al potere; o alla testa dei braccianti che pone le condizioni del lavoro e le ottiene con quel “va bene” al fiele che occulta la vendetta; o sentimentale ma impacciato con la sua Carolina; o la struggente stretta di mano con Bruno Buozzi: sarà pure retorico, ma raggiunge il sentimento e coinvolge. E perché vergognarsene, fino alla commozione.
Del resto, fra storie melense a volontà ma con tanto di share, se la TV di Stato non esitando a far leva sul sentimento si dedica, una volta tanto, alle figure che hanno assicurato il Paese alla Democrazia, compie operazione solo dovuta.
Fra l’ostinazione a mandare in soffitta le tormentate «culture obsolete dell’800», regalare nel modo più seducente, toccando il cuore, non solo giovani , una grande storia che prima d’essere politica fu umana più che giusto è necessario: prima che la stragrande maggioranza di quei giovani che non conosce Di Vittorio, ottantanove su cento come narra il Corriere, diventi totalità.
Benedetti, dunque, i soldi che la Regione Puglia vi ha destinato.
Certo, la fiction non sempre collima con le vicende storiche, in particolare quando sottovaluta il ruolo dei socialisti nella CGIL o tratta con eccessiva semplificazione, e qualche trasposizione di data (forse per esigenze narrative), il rapporto tra i due Peppino: Di Vittorio e Di Vagno che, entrambi socialisti, sono eletti al Parlamento nella lista del Partito socialista lo stesso 15 maggio ’21.
E che erano amici: il primo accorre al capezzale del secondo, che morente gli sorride e l’incoraggia a non mollare.
Non a caso Di Vittorio, subito dopo l’assassinio, scrive per «Puglia Rossa» una delle più belle pagine mai lette, e grida: “Povero il nostro Gigante Buono! Eri un Uomo ed ora sei un Mito”.
Ma queste insufficienze non indeboliscono l’insieme dell’operazione culturale, anzi inducono a incoraggiare le Istituzioni a proseguire e a fare ancora di più. Trasformare, per es., in cantiere di produzione l’idea-progetto già tracciata di un Documentario che ricostruisca la vicenda di Di Vagno che ha tante affinità con quella di Di Vittorio, nonostante le rispettive diverse condizioni ambientali.
E farlo profittando, anzi accompagnando i nuovi studi avviati dopo il recente rinvenimento di tutti gli incartamenti, che in occasione del novantesimo anniversario nel settembre 2011 porteranno alla pubblicazione del processo Di Vagno.
Il bracciantato del sud barese non era quello della piana di Foggia, dissimile era la composizione del latifondo; la ricca borghesia foggiana era diversa da quella più addottorata della Città di Di Vagno, sede di un rinomato centro di studi. Non a caso l’influenza del nascente fascismo raggiunse prima la gioventù di Conversano discendente da quelle famiglie e un diverso, ben più tragico destino sia stato decretato per Di Vagno, accomunato, tuttavia, a Di Vittorio dalla stessa passione, la stessa lotta per l’emancipazione.
Sull’onda emotiva della ficton, dunque, non si perda l’occasione d’avviare nella regione riflessioni culturali e storiche sulla funzione alta della sua classe dirigente (Di Vittorio, ma anche Moro) capace con le sue scelte d’incidere in profondità sulla realtà nazionale (Costituenti di primo piano) e sull’identità pugliese.
La lezione di Di Vittorio, infatti, è carica d’attualità per il suo alto valore etico e per la sua filosofia civile, il tessuto connettivo di una società capace di superare gli egoismi di classe e le fratture tra Nord e Sud.