9 settembre 2009

Custodire la Memoria per costruire il futuro:un’esperienza sul campo.


INTERVENTO AL SUMMER CAMP '09 FGS
-SALERNO-

di Gianvito Mastroleo



La condanna dei socialisti, pensata a tavolino per cancellarne la storia per editto dei giudici o dei nuovi principi, che pareva tale oggi non appare più senza appello.
Anzi, la tendenza iconoclasta verso la politica che si identifica con la prima Repubblica s’affievolisce al punto che finanche i più intransigenti epigoni tendono a dimenticarsene, essendo diventato normale, di fronte al vuoto assoluto che consegna la cosiddetta seconda, richiamare il passato per evocarne la lezione positiva.
Di fronte alla non facile condizione il governo di centro sinistra pugliese, e del suo Presidente Vendola, per vicende legate alle inchieste dei giudici sulla sanità, un intellettuale iscritto al partito colpevolista e antisocialista, scrive: «nello scenario politico attuale di assessori forti e partiti deboli, i controlli sono difficili e tutto è possibile. Nella cosiddetta prima repubblica – che a distanza si rivela per molti aspetti migliore di quella successiva - era il partito che riusciva a garantire il comportamento dei propri rappresentanti che erano selezionati e valutati pubblicamente nel loro comportamento amministrativo» (Corriere del Mezzogiorno 8 agosto 2009).
Biagio De Giovanni nel suo recente lavoro A DESTRA TUTTA dedica un paragrafo per disconoscere la rivoluzione dei sindaci, nel biennio ’92-’94 individuata come la panacea per tutti i mali nazionali, e per bocciare senza appello Bassolino e il bassolinismo.
Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera 9 agosto 2009) scrive: «Ad un qualsiasi rapporto tra la politica e la cultura il nostro paese sembra aver rinunciato da tempo. Vi hanno rinunciato con spensieratezza innanzitutto i partiti nuovi della seconda repubblica. Nessuno di loro mantiene un ufficio studi, una rivista; … con la prima repubblica le cose andavano in modo diverso: si pensi a cosa rappresentavano in quegli anni, l’Istituto Gramsci, una rivista come Mondoperaio, edizioni come quelle delle Cinque Lune» (la vecchia DC) o dell’Avanti! (il quotidiano del PSI).
Tocca dunque ai socialisti, prima che a qualsivoglia altro partito preservare dall’oblio la Memoria e tornare ai propri riferimenti culturali: per dovere verso la verità inesorabile della Storia e per esercitare la funzione di formazione, che fu la costante del vecchio PSI nello scenario politico italiano.
Altro che «supponenza intellettuale della sinistra»: Mondoperaio (della cui vivacità e fervore intellettuale negli anni 70 è tuttora vivo ricordo e rimpianto) ha insegnato che per la ricerca della sostanza della sua identità storica la Politica deve guardare alla Cultura, e che la Cultura non deve limitarsi ad una mera funzione «frigidamente conservativa e museale» della Memoria.
La Politica, in definitiva, non ridotta a mero catalogo del presente ma supportata da un’idea animatrice, da quel «qualcosa che porti la vita di oggi verso le reliquie del passato» senza della quale qualunque storia, anche la più antica e gloriosa, sarebbe destinata a dissolversi.
Il Socialismo è il riferimento culturale più antico e fra i più importanti della storia politica italiana: perciò, per chi ne vanta l’eredità far rinascere Mondoperaio è stato un più che responsabile dovere.
Il racconto di un’esperienza territoriale potrebbe aiutare a capire meglio perché custodire la Memoria è l’unico presupposto per creare il futuro.
Molti anziani socialisti appartengono alla generazione per la quale l’adesione al Socialismo si deve all’istintiva attrazione verso l’utopia, al fascino che quella parola antica riusciva a trasmettere loro.
Il Socialismo entrò prima nel cuore poi nella testa di molti giovani che decisero di aderirvi nei lontani anni ’50, attratti dal rigore democratico e antifascista di anziani militanti, dalla fascinazione dell’utopia dell’uguaglianza, un’aspirazione irraggiungibile.
Gli anni, le amarezze, gli errori, le delusioni che hanno riservato non pochi dirigenti (non solo nazionali) non sono riusciti ad estinguere quella passione: solo in nome della quale s’è potuto realizzare una storia che da personale è diventata collettiva, e che ormai appare destinata a durare ben oltre di ciascuno di noi.
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Per anni un archivio personale, carte raccolte durante la lunga militanza socialista e la parte residua di quelle relative agli incarichi pubblici svolti in nome del Partito, essendo state le altre famelicamente inghiottite da un inesorabile inceneritore cui furono affidate, intimorito dai giudici, da un incolto e pavido collaboratore, è stato sul punto di essere distrutto a sua volta.
Fino al giorno in cui la Dirigente della Soprintendenza archivistica della Puglia non esitò a vincolare formalmente quel fondo come di rilevante interesse storico (“carte” modeste, al fine, benché numerose), aprendo la strada, ma con più largo orizzonte, per la realizzazione all’interno della Fondazione “Giuseppe Di Vagno (1889-1021)” (fondata in Puglia agli inizi degli anni settanta da un gruppo di giovani dirigenti e intellettuali socialisti) dell’Archivio storico dei socialisti di Puglia, nel tempo ampliatosi verso esponenti democratici, anche non socialisti.
Un’iniziativa del tutto inedita nella Regione non solo da parte dei socialisti ma anche di altri partiti, salvo l’esperienza dell’Istituto Gramsci di Puglia, custode delle “carte” di alcune sezioni e di alcuni dirigenti del PCI, ma che inserita in un unico progetto, assieme all’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea, con il contributo tecnico e scientifico del BAICR, ha assunto la fisionomia di MEMORIA DEMOCRATICA PUGLIESE e inserito nel sito WEB di Archivi del Novecento.
Il Socialismo pugliese è ricco di storia:
nasce tra la fine dell’800 ma si sviluppa nei primi del novecento, sempre rappresentato in Parlamento da Deputati eletti nei suoi Collegi;
progredisce e si pone alla guida di numerose Amministrazioni locali nel ventennio che precedette il fascismo, come testimonia il lavoro del 1923 di Giacomo Matteotti Un anno di dominazione fascista, nel quale sono raccontate le diverse decine di Comuni pugliesi, prevalentemente a guida socialista, sciolti dal fascismo;
raggiunge la massima drammatizzazione nel settembre 1921, con l’assassinio fascista di Giuseppe Di Vagno (1889-1921);
esprime dirigenti e intellettuali, come Salvemini e Fiore, che subiranno carcere ed esilio, e offre dopo la Liberazione un rilevante contributo alla ricostruzione democratica e del Partito, esprimendo anche un pugliese come Segretario nazionale, il foggiano Domenico Fioritto;
esprime negli anni ’70-’80 una classe dirigente di amministratori locali e di dirigenti nazionali di prim’ordine (Formica, Finocchiaro, Di Vagno jr, Lenoci) e conquista a Bari il 31% dei voti, via via fino ai nostri giorni, ahinoi!, non altrettanto felici.
Una grande storia progressivamente riscoperta, per ciascuna delle cui fasi, a partire dalla fine dell’800 (Fondo Colella) fino ai nostri giorni, si stanno con pazienza ritrovando e raccogliendo carte, documenti, racconti orali, immagini (tante immagini!) per farne un racconto vivo, utile per l’attualità.
In parte attraverso materiale raccolto e riordinato direttamente, in parte, il contributo dei socialisti alla lotta antifascista e alla resistenza, raccolto e riordinato dall’IPSAIC, l’Istituto che con la Fondazione Di Vagno intrattiene rapporti di collaborazione organica.
Ad oggi, con una meticolosa, a volte petulante, azione di ricerca, si è realizzato un ambiente archivistico consultabile in cartaceo, presso le sedi della Fondazione e dell’IPSAIC, o visitando i siti http://www.memoriademocraticapugliese.it/ e http://www.fondazione.divagno.it/
Un lavoro che richiede molta perseveranza, perchè si tratta di vincere sentimenti condivisibili e difficili da contrastare: dal sospetto di esproprio di cose care, al tentativo di sottrazione di simboli, rappresentazioni, icone custodite come vere e proprie allegorie.
La perseveranza nella ricerca è stata pari, se non superiore, alle resistenze individuali, al punto che quell’unico fondo cartaceo personale si è moltiplicato per più di venti, cui si sono aggiunti:
- il Fondo autonomo Michele Viterbo, una delle più importanti figure del novecento pugliese il cui archivio personale, finora inesplorato, è stato affidato alla Fondazione per la conservazione e pubblicazione;
- ben tre fondi fotografici composti da diverse migliaia di foto;
- il fondo di audiovisivi all’interno del quale, si segnala la raccolta (concessa dalla RAI) delle video-registrazioni delle sedute dell’Assemblea Costituente e le più significative riprese RAI degli eventi che hanno interessato i socialisti pugliesi a partire dal 1979, anno di avvio di del Tg RAI Regione;
- il fondo delle 60 testimonianze orali, per circa 150 ore di registrazione: racconti, a volte molto toccanti, di socialisti di tutte le generazioni, a partire dal 1914 fino al 1950, alcuni dei quali nel frattempo sono venuti a mancare.
Un lavoro, sostanzialmente iniziato dal nulla nel 2004, che oggi rappresenta un giacimento di esperienze, di passioni, di storie, sulle quali è cresciuta la comunità dei socialisti ed è a disposizione non solo degli studiosi ma di chiunque vorrà attingervi: in particolare dei dirigenti socialisti di oggi (e, si spera, di domani) che assieme ai racconti, date, fatti, accadimenti, potranno ritrovare l’insegnamento che socialisti non si è se si manca di passione.
Alcune curiosità.
Nelle migliaia di foto, alcune delle quali da sole valgono pagine e pagine di un trattato di sociologia politica:
- le manifestazioni dei socialisti per le commemorazioni annuali dell’assassinio di Di Vagno a partire dal 1949;
- i cortei delle lotte contadine degli anni ’50, braccianti con coppola e giacca spalla e donne, le lotte politiche nella straordinaria piazza di Conversano con migliaia e migliaia di ascoltatori;
- due servizi particolarmente significativi: la visita a Bari e Conversano nel settembre del 1966, ancor prima dell’Unificazione formalmente sancita il 31 ottobre successivo, dei segretari del PSI Francesco De Martino e del PSDI Mario Tanassi per la commemorazione unitaria di Di Vagno e la visita a Bari nel 1977, sempre nel settembre per la stessa ricorrenza, di Bettino Craxi e di Felipe Gonzales leader del socialismo spagnolo;
- il servizio fotografico del funerale di Nenni (5 gennaio 1980).
Nei fondi cartacei :
- il fondo Giovanni Colella, così come il fondo Laricchiuta, coetaneo e amico di Giuseppe Di Vagno,testimonia della nascita del socialismo anche in Puglia fra la fine dell’800 e i primi del ‘900;
- il libro dei verbali della Federazione barese del PSI degli anni 1919 – 1921, recuperato per una fortuita avventura, che si apre addirittura con la narrazione di un regolare “processo”, che si concluse con l’espulsione dal partito di Giuseppe Di Vagno nel 1919, accusato dalla maggioranza massimalista di riformismo e di tradimento perché amico e in qualche modo collaboratore dell’eterodosso Gaetano Salvemini, con la successiva riabilitazione avvenuta qualche mese dopo;
- la riproduzione in unico esemplare del registro dei verbali tra il 1910 e il 1924 della Federazione nazionale del giovani socialisti (FGSI) che aveva sede a Milano e che si intitolava a Filippo Corridoni: l’originale è in possesso del dott. Aldo Baldi di Bari, militante non pentito del M.S.I. (che ha cortesemente consentito la riproduzione), al quale è stato trasmesso da suo Padre, un giovane socialista di allora che poi aderì al fascismo ma che aveva gelosamente custodito il documento.
- e poi, carte di alcune sezioni e della Federazione barese del PSI dell’immediato dopoguerra, fra cui il quaderno nel quale è annotato l’elenco dei socialisti cui nel 1944 era stata consegnata la tessera del Partito (fra cui al ventenne Giuseppe Di Vagno jr.), inediti manifesti originali, verbali con il racconto delle riunioni, degli iscritti, dei magri bilanci della federazione e di alcune sezioni.
Un lavoro che prosegue con ininterrotta, incessante insistenza sia per convincere famiglie di vecchi socialisti a svuotare armadi e cassetti e trasferire, più che privarsi, ciò che spesso a ragione è considerato una loro reliquia, per contribuire a crearne nell’insieme una assai più copiosa e importante; per indurre dirigenti ancora in attività a far traslocare quelle carte, per sottrarle a dispersione certa.
L’archivio dei Socialisti Autonomisti di Puglia, che hanno operato per circa un decennio (fine ‘900 e primi anni del 2000) assieme a quello di Michele Di Giesi (più volte Deputato e Ministro) saranno trasferiti nelle prossime settimane.
Utilizzando questo patrimonio si sta anche realizzando il Fondo dell’identità socialista della Puglia, che sarà pubblicato nel sito WEB, a cura della Teca del Mediterraneo (Biblioteca del Consiglio regionale della Puglia).
Un insieme che attraverso l’inoppugnabilità di documenti e immagini racconta la verità storica che il Socialismo italiano è stato militanza di operai e intellettuali, di donne e uomini di ogni estrazione sociale e soprattutto passione: sentimento che trasuda dai visi di uomini e donne animati dalla speranza e dalla voglia di lottare, dalla narrazione ininterrotta del loro contributo all’evoluzione e alla crescita della società italiana, oggi indispensabile per creare il futuro.
Disquisiscano gli esperti se si tratta di mere curiosità, di documenti di storia o di storia minore: certo, non è nello spirito dell’iniziativa ridurre il tutto alla frigida conservazione archivistica.
Piuttosto, questo giacimento di materiali oltre agli storici serve ai socialisti di oggi ma, in particolare, ai giovani che da quelle carte possono trarre argomenti per dare stimolo e senso alla loro militanza e a prepararsi alla funzione dirigente per il domani; consente di ricavare l’insegnamento che la Politica non può ridursi a quella entrata nell’immaginario dell’oggi e cioè un misto di personalismo, di affarismo diffuso, di opportunismo e di sola comunicazione per immagini; per i socialisti partecipare alla politica comportò assai spesso rinunce, privazioni, sacrifici, e solo in qualche caso vantaggi personali, in ogni caso assai meno appariscenti rispetto a quel che non disinteressatamente si è voluto trasmettere all’immaginario giustizialista.
Da quelle carte ciascuno può trarre l’ispirazione che la politica è innanzitutto credere in qualche cosa, professare valori e sapersi battere per le idee, non piegarsi all’opportunità del momento, né irrigidirsi nell’isolamento delle proprie convinzioni svincolate dalla realtà in cammino.
E, dunque, che la Politica non può vivere prescindendo dalla Cultura e che la cultura dei socialisti ha vissuto sempre all’interno di un gruppo integrato che, benchè quasi sempre minoritario nei numeri, è stato forte nella sua visione del mondo; e che la Politica non deve ridursi a consegnare al presente memorie senza fascino e ricordi che non scaldino il cuore.
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Con l’avanzare dell’esperienza volta a custodire la Memoria socialista pugliese ci si è persuasi che un popolo, una nazione senza Memoria non esistono e che «essendo la storia fondamento di ogni civiltà, chi esalta l’oblio uccide due volte».
Una delle ragioni del disorientamento dell’Italia contemporanea - e in particolare di quello del PD che alla politica del fare di Berlusconi non riesce a contrapporre idee e progetti – è la labilità della Memoria, peggio la pervicacia con la quale si è preteso di cancellare il passato, prescindere dalle culture dell’ottocento e del novecento e per ostinazione (peggio, per vergogna) di non voler fare i conti con errori propri e ragioni altrui e si è preferito, come ha fatto Veltroni, “negare di essere mai stati comunisti”, piuttosto che criticamente fare revisione sul proprio passato.
Generando, così, confusione, incertezza, pressapochismo e nel ricordare (o ignorare) il passato si è preferito affidarsi a un relativismo ingannevole.
Sicchè lo spirito del berlusconismo, ma anche quello di una parte non irrilevante della sinistra, alimentandosi di una «frenetica bulimia del presente» rifiuta come inutili i valori che vengono dalla storia, con ciò alimentando la perdita dello spirito pubblico.
«[…] l’idea di società di chi rimuove il passato e spegne il futuro […] anche in ragione della sua crisi sociale e civile, si accorgerà presto che non si può vivere e crescere senza una visione e un’idea forte»
Queste parole furono scritte non da un socialista temerario che continua romanticamente a credere che quell’idea forte sia il «socialismo» nelle sembianze della contemporaneità, ma Walter Veltroni, nella non dimenticata lettera al popolo italiano del 18 agosto del 2008 dalle colonne de La Repubblica.
Proprio lui che si era esercitato in ripetute sconfitte elettorali all’insegna dell’autosufficienza e del disconoscimento delle culture del novecento e che, rientrato dal suo breve rifugio forzato in Africa, qualche mese fa, senza neppure un cenno di ripensamento e con discutibile disinvoltura, in occasione della presentazione del Volume dedicato a Bettino Craxi dalla Fondazione che porta il suo nome, non esita a rinnegare se stesso e a rilanciare l’alleanza con i socialisti, «quelli di Nencini», come tiene a precisare: in pratica, quelli che lui stesso solo un anno prima aveva contribuito ad espellere dai Parlamenti nazionale ed europeo.
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Oggi è tempo di pensare al futuro della sinistra italiana, nella fase più difficile della sua ristrutturazione, all’interno della quale i socialisti debbono esserci, preoccupati non tanto di un‘identità solo nominalistica ma di preservare e conservare quella che viene dalla loro lunga storia, anche se all’interno di «un partito multietnico e multiculturale, nel quale sopravvivano le culture della storia passata, non solo come residui, ma come componenti del presente e anticipazione del futuro» (P. Celli).
Quella cultura del passato (della quale sbrigativamente ci si sarebbe voluti liberare) che segnala ancora oggi, con incombente attualità, che intelligenze, energie, disponibilità debbono cristallizzarsi attorno a un programma e a obbiettivi che abbiano il sapore ad un tempo del realismo e dell’utopia.
Del Riformismo e del Socialismo, quella cultura che, di là dalle forme organizzative, regge l’urto del tempo che passa, perché forte della passione di coloro che hanno creduto e credono tuttora.