23 maggio 2010

Bari e la tradizione meridionalista.

di GIANVITO MASTROLEO

Un paio di mesi fa Confindustria celebrò a Bari il suo Centenario discutendo di Mezzogiorno; fra meno di un mese il nostro Giornale ricorda a Bari il suo anniversario con un non meno provocatorio «Che ne sarà del Sud?».
Domani, nell’’Ateneo barese, la Fondazione Di Vagno con la Facoltà di Scienze Politiche propone una riflessione dal titolo intrigante «L’espulsione del Mezzogiorno è rinviabile?», con un confronto su «Analisi e proposte assennate e dissennate» come si legge, con provocatoria ironia, nel sottotitolo.
Un’occasione per far parlare assieme studiosi di culture e generazioni diverse per i quali il Mezzogiorno, con le sue (auto)criticità ma anche con le infinite risorse, è al centro del loro interesse intellettuale e accademico.
Solo chi ha memoria corta si sorprende di tanta attenzione: nella seconda metà del dopoguerra, a Bari si è raccolta l’eredità del meridionalismo di Salvemini, di Gramsci, di Guido Dorso; si stamparono riviste («Politica e Mezzogiorno» di Finocchiaro, «Civiltà degli scambi») e molti libri celebri ancora oggi (Laterza); intellettuali e studiosi come Tommaso e Vittore Fiore, Nicola Tridente per generazioni hanno formato coscienze; leader politici (Moro, Cifarelli, Damiani, Di Vagno, Papapietro, Di Giesi) sono stati in trincea su quella «questione»; attorno alla Fiera del Levante crebbe il «Gruppo dei Meridionalisti» e per un quindicennio nella «Giornata del Mezzogiorno» studiosi, politici e grandi imprese nazionali si ritrovavano per orientare, prima che le risorse, le politiche verso il superamento dello storico divario; da Bari autorevole si leva anche oggi la voce di Autori letti e studiati in Italia; da Bari è partito il progetto culturale, prima che politico, del Mezzogiorno nella sua dimensione Balcanica e Mediterranea.
Bari, dunque, può considerarsi l’incubatore della cultura del Sud risorsa nazionale, più che problema: non a caso al Convegno di domani il Presidente Napolitano ha concesso il suo Alto patronato.
Interrogarsi sulla progressiva marginalizzazione del Mezzogiorno, tuttavia, significa non solo pensare che sia a rischio l’unità del Paese, ma anche ritenere che l’«espulsione» del Sud dalle dinamiche nazionali politiche e economiche sia la strada intrapresa per giungere ad una separazione di fatto.
Per tanti il Mezzogiorno saccheggia i territori produttivi del Nord, spreca risorse che potrebbero essere meglio utilizzate altrove: in verità, alle responsabilità delle classi dirigenti meridionali s’accompagna la riduzione dell’orizzonte di sviluppo del Paese.
La cui unità è messa in discussione non dal divario fra le due Italie, rimasto sostanzialmente stazionario, ma dal venir meno dell’idea che questo possa essere affrontato consentendo vantaggi per tutti: i differenziali di sviluppo, infatti, sono un problema, ma pur sempre una risorsa per produrre crescita e ricchezza.
L’obiettivo richiederebbe uno sforzo capace di concentrare risorse ed energie, consolidare nelle regioni del Sud democrazia e sviluppo, superare inefficienze e sprechi, abbandonare rendite e privilegi insostenibili.
Tutte cose non semplici, per vincere le quali occorre essere accomunati dall’idea che non ci si deve limitare alla strenua difesa dell’esistente; ma impegnarsi per fornire analisi e proposte non banali, tanto da apparire «dissennate», convinti che bisogna osare tutti di più, poiché dalla difficile situazione si esce solo con un gioco al rialzo da parte di tutti i giocatori, cominciando naturalmente da quelli che vivono e lavorano nel Mezzogiorno.
La scelta, perciò, di far concludere i due appuntamenti con i «faccia a faccia» del Governatore Vendola con i suoi Colleghi della Campania, Caldoro e del Piemonte, Cota è assai opportuna.
Le proposte, anche quelle dissennate, infatti, passano a loro: alla volontà di saper respingere assieme la provocazione di una nuova «spedizione a rovescio» e la persuasione di Tommaso Fiore (jr) che «un federalismo malato già divide il paese ».
22 MAGGIO 2010