Gentilissimo dottor Gianvito Mastroleo,
un suo intervento sul Corriere del Mezzogiorno di venerdì 30 luglio scorso è per me fonte di grande stimolo dialettico su una delle più grandi ideologie del secolo scorso e lo è anche per il modo così elegante con il quale lei pretende una precisazione per quanto da me detto nella conferenza stampa, nella quale ho illustrato i risultati dell'operazione «Libertà» che ha portato in carcere decine e decine di esponenti appartenenti al clan Strisciuglio.
E' vero ho definito il metodo della spartizione delle ricchezze all'interno del clan un «metodo socialista» e mi creda, dottor Mastroleo, non l'ho fatto per una «leggerezza», perché mi è sfuggito o perché non avevo altri termini da usare. Né tanto meno l’ho fatto per secondi fini. Indagando sul clan Strisciuglio – una mafia che non è seconda alle mafie storiche – ed esaminando la richiesta di arresto ho avuto modo di soffermarmi sulla caratterizzazione «sociale» di questo clan e più studiavo le carte dell'indagine più il termine «socialista» — e poi le dirò perché non quello «comunista» — mi veniva in mente, come se invece di leggere solo un provvedimento giudiziario, io stessi leggendo anche un'analisi sulla mafia barese. L'utilizzo del termine «socialista» che in alcune occasioni in politica e nelle aule giudiziarie spesso ha assunto un significato distorto rispetto alla portata storico – sociale – economico, io l'ho usato proprio nella sua accezione più alta, più umana.
Il boss Strisciuglio è un boss «povero», uno che dalle numerose e disparate attività mafiose non si è arricchito, ma ha cercato di creare un sistema — certo delinquenziale — dove tutti i suoi affiliati ricevono benefici, potremmo dire una sorta di «welfare».
Le indagini giudiziarie evidenziano che Mimmo Strisciuglio si dissocia dal clan Capriati proprio perché non condivide il loro metodo di distribuzione della ricchezza.
Mimmo Strisciuglio non condivide, si dissocia e crea un clan dove la «ricchezza» — chiaramente frutto di un'attività illecita che noi contrastiamo — doveva essere ripartita fra gli «associati», ma non con modalità «comuniste». Il boss aveva ben chiaro il valore di ciascun affiliato, per cui la ricchezza non veniva divisa indipendentemente dalle capacità produttivo - criminale, ma in maniera adeguata alle capacità, ai meriti di ciascuno, potremmo dire — chiamando in causa Marx — «in proporzione al lavoro prestato».
Non solo venivano remunerati gli associati, ma veniva prestata assistenza alle loro famiglie e finanche ai fiancheggiatori del clan.
Ecco, dottor Mastroleo, perché ho usato il termine «socialista» e perché lo userei ancora. Perché se i magistrati cominciano a usare il termine «socialista» per richiamare un «metodo di distribuzione delle ricchezze» e non più per etichettare un indagato o un imputato vuol dire che qualcosa sta cambiando anche nel rapporto fra magistratura e politica.
Infine, dottor Mastroleo, visto che lei mi ha offerto questa preziosa possibilità voglio concludere assicurandola che proprio per il rispetto che io porto verso il termine «socialista», anche per quello che ha rappresentato nella Storia d'Italia, mai mi sentirà pronunciarlo come sostantivo per indicare un indagato dalla mia Procura.
Ho troppo rispetto per lei, per i socialisti veri e onesti, per la storia che rappresentate.
Antonio Laudati
Procuratore della Repubblica a Bari
un suo intervento sul Corriere del Mezzogiorno di venerdì 30 luglio scorso è per me fonte di grande stimolo dialettico su una delle più grandi ideologie del secolo scorso e lo è anche per il modo così elegante con il quale lei pretende una precisazione per quanto da me detto nella conferenza stampa, nella quale ho illustrato i risultati dell'operazione «Libertà» che ha portato in carcere decine e decine di esponenti appartenenti al clan Strisciuglio.
E' vero ho definito il metodo della spartizione delle ricchezze all'interno del clan un «metodo socialista» e mi creda, dottor Mastroleo, non l'ho fatto per una «leggerezza», perché mi è sfuggito o perché non avevo altri termini da usare. Né tanto meno l’ho fatto per secondi fini. Indagando sul clan Strisciuglio – una mafia che non è seconda alle mafie storiche – ed esaminando la richiesta di arresto ho avuto modo di soffermarmi sulla caratterizzazione «sociale» di questo clan e più studiavo le carte dell'indagine più il termine «socialista» — e poi le dirò perché non quello «comunista» — mi veniva in mente, come se invece di leggere solo un provvedimento giudiziario, io stessi leggendo anche un'analisi sulla mafia barese. L'utilizzo del termine «socialista» che in alcune occasioni in politica e nelle aule giudiziarie spesso ha assunto un significato distorto rispetto alla portata storico – sociale – economico, io l'ho usato proprio nella sua accezione più alta, più umana.
Il boss Strisciuglio è un boss «povero», uno che dalle numerose e disparate attività mafiose non si è arricchito, ma ha cercato di creare un sistema — certo delinquenziale — dove tutti i suoi affiliati ricevono benefici, potremmo dire una sorta di «welfare».
Le indagini giudiziarie evidenziano che Mimmo Strisciuglio si dissocia dal clan Capriati proprio perché non condivide il loro metodo di distribuzione della ricchezza.
Mimmo Strisciuglio non condivide, si dissocia e crea un clan dove la «ricchezza» — chiaramente frutto di un'attività illecita che noi contrastiamo — doveva essere ripartita fra gli «associati», ma non con modalità «comuniste». Il boss aveva ben chiaro il valore di ciascun affiliato, per cui la ricchezza non veniva divisa indipendentemente dalle capacità produttivo - criminale, ma in maniera adeguata alle capacità, ai meriti di ciascuno, potremmo dire — chiamando in causa Marx — «in proporzione al lavoro prestato».
Non solo venivano remunerati gli associati, ma veniva prestata assistenza alle loro famiglie e finanche ai fiancheggiatori del clan.
Ecco, dottor Mastroleo, perché ho usato il termine «socialista» e perché lo userei ancora. Perché se i magistrati cominciano a usare il termine «socialista» per richiamare un «metodo di distribuzione delle ricchezze» e non più per etichettare un indagato o un imputato vuol dire che qualcosa sta cambiando anche nel rapporto fra magistratura e politica.
Infine, dottor Mastroleo, visto che lei mi ha offerto questa preziosa possibilità voglio concludere assicurandola che proprio per il rispetto che io porto verso il termine «socialista», anche per quello che ha rappresentato nella Storia d'Italia, mai mi sentirà pronunciarlo come sostantivo per indicare un indagato dalla mia Procura.
Ho troppo rispetto per lei, per i socialisti veri e onesti, per la storia che rappresentate.
Antonio Laudati
Procuratore della Repubblica a Bari