30 luglio 2010

"Clan socialista"??

di Gianvito Mastroleo

Accidenti, un’altra tegola sui «socialisti», si son chiesti sgomenti quei lettori (che poi è la maggioranza) che di solito si limitano alla lettura dei titoli, ai quali attende un giornalista collaudato nell’arte di provocare sensazioni.
Si sa, più un titolo è intrigante più il giornale piace, e naturalmente lascia traccia.
Poi ci sono i «socialisti»: alcuni che apprendendo dal titolo del nostro Corriere che un «clan socialista» sarebbe stato decimato con 46 arresti si sono incazzati; altri che si sono subito rasserenati per constare di essere sopravissuti all’idea veltroniana che avrebbe voluto annientare gli ultimi epigoni di quella cultura obsoleta dell’ottocento, anche se a loro volta stupiti che neppure ai tempi dell’epopea craxiana sarebbero stati narrati con tanta eccitazione.
Poi, vai a leggere l’articolo, e da un lato i socialisti si rasserenano ma dall’altro s’ incazzano ancora di più.
Si rasserenano perché la «decimazione» si riferisce a un clan malavitoso, secondo l’accusa della Procura, e i 46 arrestati sarebbero uomini e donne che ne hanno fatte di tutti i colori , ma che mai si sono sognati di chiedere una tessera di partito, meno che mai quella socialista; anche se qualche residuo di un’altra notizia di stampa torna alla mente quando, parlando di circoli in odore di criminalità in un quartiere della città, non mancò un capzioso riferimento ad esponenti socialisti che li avrebbero usati come punto di riferimento in campagna elettorale.
Comunque, in questo caso (forse, anche allora) il tutto nulla ha a che fare con i «socialisti».
Si incazzano, invece, come molti dirigenti del Partito Socialista hanno fatto, perché con una certa leggerezza (cos’altro sennò?!) sarebbe stato usata, e ripresa, un’attribuzione che ha un significato politico preciso e assai rilevante, che spesso identifica storie di vita di singoli o di generazioni intere, sicchè coloro che tutt’oggi rivendicano l’appartenenza a quella storia si sarebbero sentiti feriti a morte.
Laddove, coloro che si limitano a leggere i titoli del giornale, che sono distanti sulla politica, se non scettici, si sarebbero limitati a un «accidenti a sti’ socialisti».
Poi vai leggere, perché ti vuoi rendere conto da dove nasce tutto ciò, e scopri che nella pur meritoria opera di bonifica della città dalla criminalità la Procura della Repubblica ha ordinato 46 arresti e che il Procuratore capo, il dottor Laudati, nel descrivere le modalità con le quali agiva il clan, e cioè una eguale ripartizione dei profitti degli illeciti si sarebbe lasciato scappare un «criterio socialista», dice l’ottimo magistrato, nel senso che tutto si spartiva uguale, insomma che «i mezzi di produzione e di scambio» venivano socializzati. Sicchè, e il passo è breve, «clan socialista».
E vabbè, caro dottor Laudati, tutto questo che c’entra col definire il clan «socialista», che in verità avrebbe potuto essere definito anche (forse meglio) «comunista»?
Anche perché «socialista» significa una cosa ben precisa, indica cioè quella persona che aderisce al pensiero politico più antico d’Italia e si organizza attorno ad un partito, che oggi si chiama Partito Socialista e del quale ciascuno sente dell’appartenenza orgoglio.
Se poi si volesse sottilizzare, ma non è il caso, non è neppure vero che i socialisti prevedono la «redistribuzione» uguale per tutti, il che semmai è vero per altri ma non per loro: non sarà per caso che i socialisti circa trent’anni fa teorizzarono che il progresso individuale nella società avrebbe dovuto procedere secondo «meriti e bisogni» e che la loro secolare battaglia per l’uguaglianza riguarda soprattutto l’aspirazione alla libertà e ai diritti.
Caro dottor Laudati, con tutta la stima, non se la prenda se le viene chiesta una parola di distinguo da quel «clan socialista»: lo richiederebbe il buon senso, l’onestà intellettuale, la sua indiscussa serietà professionale, l’apprezzamento per il suo lavoro che quei «socialisti», per quanto un po’ incazzati, non esitano pubblicamente a riconoscerle.