23 febbraio 2011

Ripensare più che ricomporre il dopo Livorno ’21.


di Gianvito Mastroleo

A Livorno, nello stesso giorno in cui fu fondato il Partito Comunista, politici e intellettuali che si erano divisi tra nostalgia e orgoglio d’appartenenza socialista, ex comunisti con la voglia di tornare al socialismo (i più), novant’anni dopo si sono convocati per una riflessione, non solo revisionista, ma per una ripartenza possibile del socialismo italiano ed europeo: che tale non sarebbe per chi, nel frattempo, non ha rinunciato a pensarlo come cultura utile per l’oggi.
C’erano Macaluso e Turci, Bertinotti e Vacca, Tamburrano e altri; Nichi Vendola non ha fatto mancare il suo suggestivo messaggio.
Né è la prima volta che lui guarda al socialismo non dallo specchietto retrovisore, ma pensando al futuro: in Puglia, inaugurando nel 2005 la Mostra “Di Vagno e Matteotti”; poi del decennale di Bettino Craxi, affermando che quella storia non po’ essere ridotta alla dimensione giudiziaria; ma anche al Congresso del PSI.
A Livorno sono emerse novità da ricordare. La conversione di Fausto Bertinotti, rifondatore qualche anno fa di un nuovo Partito Comunista, verso il Socialismo europeo, neppure da Vendola riconosciuto negli ultimi anni, e il conclamato duplice fallimento: del P.D., il cui progetto originario si rivela ogni giorno di più insufficiente, e del radicalismo con il quale non si governa la crisi democratica dell’Italia di oggi.
E si è riconosciuto che la risposta possibile a questo duplice fallimento sarebbe far rinascere, assicurare nuovo vigore a una forza socialista capace di affrontare la sfida del XXI secolo, abbandonando per sempre la voglia di guardare indietro, agli errori che pesano negativamente sulla storia recente e che ne hanno ne hanno fiaccato la competitività con la conservazione e il moderatismo.
E che per l’Italia di oggi vi è l’esigenza di ricostruire un’identità, un pensiero per una sinistra che non sia umiliata nei suoi tatticismi mortificanti e spesso inutili, ma con un grande Partito sostenuto dal popolo, per l’inscindibilità dell’endiadi socialismo e popolo.
La cui mancanza fa segnare il quasi nulla, se non il mero antiberlusconismo, alla drammaticità della situazione di queste settimane: la crisi italiana dei rapporti tra diritti e democrazia, etica e legalità, ma soprattutto quella che si profila a poche centinaia di miglia da noi, sulle coste afro-mediterranee.
Quasi che quei grandi sommovimenti di liberazione dell’uomo e di emancipazione della domma, di ricerca d’uguaglianza e libertà possano ridursi a questioni di “barbarica” invasione delle nostre terre, o di respingimenti via terra o via mare, e dunque tali da non interessare nessuno nelle loro ragioni più profonde.
Laddove toccherebbe innanzitutto a chi più direttamente è interessato da questa prima accoglienza saper dare conto a questa gente che fugge dall’oppressione e dai totalitarismi che nel loro primo approdo di speranza c’è un mondo capace di comprendere e condividere le loro ansie, di esprimere quella fraternità che fu all’origine e nello spirito internazionalista del socialismo.
In particolare in Puglia dovrebbe svilupparsi un forte movimento di riflessione, innanzitutto culturale, per restituire identità ad una sinistra nuova capace di governare le complessità della drammatica crisi economica, ma soprattutto democratica.
Un compito che spetta a tutti, PD, SEL, PSI, socialisti liberi o dovunque oggi collocati, tutti eredi di una cultura largamente influente negli ultimi anni del secolo scorso, abbandonando i tatticismi diffusi di mera sopravvivenza personale sui quali si può durare una stagione, ma non si riuscirà mai a contribuire per andare molto oltre.
Se, come è stato scritto, di tutte le “grandi parole acciaccate del ‘900” quella meno acciaccata è Socialismo, occorrerebbe che tutti coloro che sempre più a quella parola oggi si richiamano, ci mettano del proprio, sapendo che i soli messaggi, per quanto accattivanti, potrebbero non bastare.