18 ottobre 2007

Parliamo di precarietà - di Francesco Errico

Dunque, si manifesta contro la “precarietà”. Essere precari significa non avere certezze di medio/lungo periodo in ordine al proprio contratto di lavoro, che avrà un termine. E’ una condizione sociale che genera insicurezza e non consente di programmare adeguatamente la propria esistenza.
La temporaneità del lavoro è una patologia tutta italiana?Assolutamente no. Può essere istituita o abolita da una legge? Assolutamente no. Solo che i manifestanti del 20 ottobre credono di sì e perciò la manifestazione si basa su un’analisi arbitraria e infondata.
Anzitutto, andrebbe precisato che la precarietà è uno stato interiore, una sensazione, non un dato oggettivo. Essa attiene ad una autovalutazione dell’individuo sulla propria vita. Non si è precari, ci si sente precari.
Riporto le testimonianze di tre lavoratori, tratte da ricerche sociologiche e riportate da Aris Accornero nel suo saggio “San Precario lavora per noi”.
“Non so che futuro avrò, non riesco a programmare la mia vita, a prendere impegni anche di carattere economico, neanche per un week-end perché so che scadrò”.
Seconda testimonianza: “l’essere temporaneo mi piace, perché se avessi un contratto a tempo indeterminato dopo un po’ subentrerebbe la noia di fare sempre la stessa cosa, la stessa azienda, le stesse persone, insomma mi verrebbe l’ansia del posto fisso”.
E infine: “d’accordo non ho certezze, ma almeno faccio il lavoro che mi piace fare…piuttosto che fare una cosa che non mi piace, preferisco essere insicura”.
Ora, questi tre giovani hanno la medesima condizione contrattuale (contratti a termine), ma non possono essere definiti tutti precari: solo il primo lo è, perché sente di esserlo.
Il dato oggettivo è invece la flessibilità. Essa non riguarda una sensazione interiore e non attiene ad uno stato psicologico, ma è una modalità oggettiva di utilizzare la manodopera con contratti temporanei.
La flessibilità esiste in tutti i Paesi ad economia avanzata; anzi, in alcuni Paesi più che in Italia. Secondo: la legge Biagi non c’entra nulla, perché ha solo provato a regolamentarla e renderla trasparente. Questa legge ha elevato i diritti delle persone con contratto a tempo determinato, non li ha ridimensionati. La flessibilità non può essere generata da un provvedimento legislativo, perché essa è un modo di organizzare il lavoro che pre-esiste al provvedimento legislativo.
Dati alla mano, la legge Biagi non ha aumentato il numero dei lavoratori temporanei in Italia (erano e rimangono circa il 12% dei lavoratori italiani).
Però c’è un paradosso. In Paesi dove la percentuale dei lavoratori “flessibili” è superiore a quella italiana, i lavoratori si sentono più sicuri (o meno insicuri). Come mai?
L’Italia non è il Paese del precariato; è il Paese europeo dove c’è una più elevata percezione della precarietà, che è una cosa diversa.
Questi paradossi sono spiegabili. La flessibilità sul lavoro non è una cosa negativa se è accompagnata da una adeguata protezione sociale, cioè supportata da indennità che consentono alla persona di vivere serenamente il passaggio da un lavoro ad un altro, senza doversi accontentare, per bisogno, della prima occupazione che trova, anche dequalificata.
Anzi, la flessibilità è un fatto addirittura positivo: consente al giovane di fare esperienza, accrescere le sue competenze, migliorare le sue relazione sociali e la sua dimestichezza con le dinamiche dell’azienda. Diventa un fatto negativo quando questo periodo di ambientamento si prolunga oltremodo nel tempo e l’individuo ha difficoltà a stabilizzarsi nel mondo del lavoro.
E’ questo il problema italiano, non la legge Biagi. L’Italia è il Paese europeo con il più basso tasso di mobilità sociale: significa che ci sono lavoratori iperprotetti (tendenzialmente maschi e adulti) e lavoratori senza nessuna garanzia (tendenzialmente giovani e donne).
Il problema è dunque ridisegnare completamente il sistema delle tutele. La stragrande maggioranza dei disoccupati italiani ha meno di 30 anni. In Francia, Germania, Inghilterra, il tasso di disoccupazione è equamente distribuito fra le classi di età.
E’ una grande questione di giustizia sociale ed è dunque una questione dei socialisti.
Leggo che il Prof. Pietro Ichino ha aderito al Partito Democratico. Veltroni è intelligente, ha reclutato uno studioso che avrebbe dovuto stare, per le sue lucide analisi e le sue idee riformiste, nella Costituente Socialista. Se Veltroni affiderà le politiche del lavoro alle idee di Ichino (che sono grosso modo quelle di Biagi) ci priverà di parecchi argomenti.
Ma Boselli ci ha provato con Ichino? O ha cincischiato con burocrati di partito? Sono un po’ preoccupato.

2 commenti:

  1. La possiamo chiamare precarietà o flessibilità ma non credo che il nocciolo della questione cambi.
    Il problema reale è che in Italia il mercato del lavoro è malato, troppo malato.
    Non so quanto si potrà andare avanti così!
    Io posso dare la mia testimonianza.
    Ho preso una laurea tre anni fa, ho cercato lavoro ma non sono riuscita a trovarlo.
    Ho deciso di mettermi in proprio, ho avviato una mia attività ma la pressione fiscale ci ha costretti a chiudere.
    E questo è un tema secondo me importante: come mai le piccole realtà imprenditoriali avviate da giovani disoccupati non devono avere delle agevolazioni nei primi anni di attività?

    Comunque...dopo la chiusura dell'attività mi sono rimessa in cerca.
    Ho trovato un ottimo lavoro...uno stage a milano a 500 euro al mese!!
    Prospettive? Nessuna!
    Alternative? Nessuna!
    Progetti? Nessuno!
    Tanti colloqui e tante offerte di stage non retribuiti o mal retrubiti.
    Ma la cosa più assurda lo sapete qual'è? La speranza di tanti miei colleghi, tra i 25 e i 35 anni, è quella di trovare un lavoro a tempo determinato a 2 anni...
    Oggi ci sono solo stage, contratti a progetto,a partita IVA,a 6 mesi, ecc...

    Vi assicuro che non è una sensazione quella di sentirsi senza futuro ma è una realtà.

    Non poter fare progetti, non poter immaginare il futuro, non potersi organizzarsi le prossime vacanze, non poter vivere da soli ma vivere con 4 estranei, non poter pensare a dei figli...non è bello.

    E i genitori fino a quando posso essere i nostri ammortizzatori sociali?

    Questi dovrebbero essere i temi di noi socialisti.
    E su questo che va avviata una discussione seria e vanno avanzate delle proposte costruttive.


    Valentina

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  2. Nel pieno possesso delle facoltà di intentere e volere lascio:
    A mia moglie n° 3 onde del mare per poterla allietare nei momenti di sconforto
    a mio figlio primo genito lascio il sole, che illuminerà la sua vita e il suo difficile cammino
    a mia figlia lascio il vento, sperando che la incoraggi a prendere decisioni difficili ma importanti
    al mio ultimo genito lascio i monti affinchè possa scavalcarli quando le sue gambe guariranno
    Ai miei fratelli lascio le sterminate campagne del sud
    all'Italia lascio il mio amore per la vita
    ai notri politici lascio questo mio cancro sperando che soffrano quanto io ho sofferto

    in fede
    Un operaio

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