10 dicembre 2007

La società dei nuovi diritti. Il diritto alla formazione. - di Giovanni Dotoli

L’Università e la Scuola sono un bene pubblico e dunque tutti gli effetti che ne conseguono sono un bene pubblico.
Viviamo nella società della conoscenza e l’intero iter della formazione del cittadino va inserito in tale contesto.
La società della conoscenza è ormai definitivamente inserita nel Sistema Europeo della Formazione, e nella certezza che in questo inizio del terzo millennio la vera ricchezza si produce investendo sul capitale umano.
E’ dunque nella Scuola e nell’Università che si crea il futuro, in una globalizzazione e in una internazionalizazione galoppanti.
Occorre allora una formazione nuova, e dunque occorrono nuove politiche giovanili. La società odierna richiede giustizia e rispetto della meritocrazia.
Già questa semplice constatazione porta alla certezza che nulla può essere attuato in materia di formazione senza il coinvolgimento dei giovani.
E’ un processo nuovo che si basa sulla conoscenza, sulla ricerca, sull’innovazione e sulla diffusione.
Il nuovo studente – utente – vive in una vera e propria Officina del Sapere, in cui contano il senso del capitale umano e quello della creatività, con una altissima attenzione per la valutazione.
Così il nuovo studente viaggia tra Scuola, Università e Società, in una rete allargata che deve coinvolgere le regioni, gli enti locali, le imprese e partner di ogni tipo. Ne conseguono accordi indispensabili tra questi soggetti per ogni tipo di politica di sostegno al diritto allo studio.
Per l’Università e la Scuola, la più grande rivoluzione dei nostri tempi è senza dubbio il mutamento dei loro destinatari primari: gli studenti. Nella seconda metà del secolo scorso, via via, a partire dagli anni ’60, da luoghi di élites, l’Università e la Scuola si sono trasformate in cosiddette Università e Scuola di massa.
Il numero degli studenti si è moltiplicato all’infinito, con grandi benefici per la società, non vi è alcun dubbio, ma con problemi impellenti da risolvere. La stessa natura tipica dell’Università come luogo affascinante i cui studenti e docenti lavorano insieme, si è naturalmente modificata. Essa resta un modello, ma di più difficile attuazione.
E ciò accadeva proprio mentre la società si dava un’accelerazione unica nella storia, operando mutamenti e crescite esponenziali sul piano tecnologico. In ogni paese industrializzato, si è passati da poche centinaia di migliaia di studenti a milioni di studenti.
Così, in maniera sempre più impellente, l’esigenza della riforma si è imposta nelle cose.
L’Università e la Scuola di massa hanno dato una spinta formidabile al nuovo e allo svecchiamento di mentalità incrostate e fuori della storia. Come è lontano il tempo in cui, negli anni ’30 del XX secolo, Ortega y Gasset si lamentava del fatto che l’Università fosse un luogo elitario.
E si pensi alla rivoluzione femminile. Via via, l’Università e la Scuola di massa si sono trasformate in una occasione di formidabile promozione sociale per la donna. Ci sono ormai facoltà tutte al femminile, per esempio Lettere, Lingue, Scienze della Formazione. E già nelle Facoltà cosiddette scientifiche avanza rapidamente il numero di donne, raggiungendo talvolta già il 50% degli studenti e dei docenti. Si è mai veramente pensato a quanto di positivo porterà tutto questo tra poco tempo? La creatività, la fantasia e l’energia della donna daranno un’ulteriore spinta propulsiva alla formazione del futuro, in questa stagione di nuovi diritti.
Nessun dubbio dunque sulla estrema necessità di cambiamento. Il problema era ed è in che modo.
Interrogarsi sul cambiamento significa farlo sul ruolo della conoscenza, sul progresso, sul senso dello stare insieme, sul significato del futuro, sulle classi dirigenti che guideranno il mondo, sulle ansie del sapere, sullo sviluppo del proprio paese, del pianeta e dell’universo.
Ma la “massificazione” della Scuola e dell’Università non può condurre a uno snaturamento, pena il futuro stesso della nostra società.
Occorrono allora nuove politiche per il miglioramento della qualità della vita dei giovani, col fine di una piena integrazione nel contesto della nuova società che avanza.
In fondo poco si è fatto in materia di nuovi diritti alla formazione. Occorre risalire al ministro socialista Antonio Ruberti, per trovare qualcosa di nuovo!
Con la nuova concezione aziendalistica, c’è stata una corsa senza freni all’aumento delle tasse studentesche, senza guardare in faccia a nessuno, col rischio di causare proprio i danni che non si volevano: l’allontanamento dalla formazione superiore dei ceti meno abbienti, o comunque più deboli.
Via via lo Stato si è tirato indietro, assicurando solo l’essenziale, cioè i servizi essenziali, riducendo anno dopo anno il proprio finanziamento.
Si è discusso di autonomia, di nuove forme di controllo della spesa pubblica, di cofinanziamento, ma forse poco di qualità del servizio pubblico prestato e da prestare.
E’ del tutto naturale che una società che tanto investe in formazione chieda il conto, e si faccia i conti in termini di investimenti redditizi.
Ma è sotto gli occhi di tutti un malessere forte. Com’è dunque possibile fare discorsi di mera economia, se siamo ben al disotto del minimo sostentamento?
Se le tasse studentesche sono aumentate a dismisura, i servizi sono perfino peggiorati. Nuova conoscenza non ha significato nuovi servizi.
La mancanza di una strategia di nuovi diritti alla formazione ha comportato un aumento della fuga dei cervelli, soprattutto dal Mezzogiorno. Le trasformazioni sono state poco ponderate. Il mondo del rapporto con il lavoro poco definito.
Mario Monti, il 2 giugno 2005, scrive sul “Corriere della Sera”: “L’Universtà riserva poca attenzione ai suoi consumatori: studenti e futuri datori di lavoro”. Ciò vale anche per la Scuola.
Ma noi Socialisti abbiamo una lunga militanza nel campo dei diritti alla formazione. Tutte le grandi leggi della storia in materia portano la nostra firma. Dobbiamo dunque riappropriarci di questo terreno, e riconsiderare, come è nostra tradizione, Università e Scuola come patrie della libertà, del sapere, della conoscenza, dell’innovazione.
La nuova formazione deve essere incentrata sui diritti degli studenti, futuri quadri del paese e dell’Europa, fornendo loro nuovi modelli di qualità, nuove professionalità, nuovi esaltanti obiettivi. Si pensi a tutto ciò che comporta l’’internazionalizzazione: nuove politiche di soggiorno, tutele assicurative, prestiti d’onore, nuove politiche di residenzialità, nuove politiche di mobilità nazionale e internazionale.

Solo il Partito Socialista, da sempre, ha il senso di questo raccordo con la società civile.

Il nuovo Partito Socialista potrà essere il motore delle nuove politiche in materia di diritti alla formazione.

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