10 gennaio 2010

BETTINO CRAXI :fra tardive verità e irriducibili bugie.


di Gianvito Mastroleo

I socialisti si accingono a ricordare Craxi morto dieci anni fa, in latitanza per alcuni, in esilio per altri: sicuramente in un’ingiusta solitudine, lasciato sia da chi non ha potuto sia da coloro che hanno preferito non esserci.
La ricorrenza si presta a molte letture, come composita è stata la sua attività politica: più che quella di statista, uno dei più illuminati nella seconda metà del secolo breve verso il rinnovamento delle Istituzioni.
Ogni giorno se ne occupano leader politici a lui contemporanei con valutazioni serene e mai encomiastiche, tutte con pieno riconoscimento per il suo ruolo: da De Mita a Pannella, Intini e Frattini, De Michelis (Corriere) e molti altri ancora.
Se ne sono occupati fino ad oggi studiosi di politica che lo riconobbero o l’avversarono fieramente, come Rina Gagliardi e Andrea Colombo (ALTRI di Sansonetti), o Giampaolo Panza nel ‘Bestiario’ di oggi (Il Riformista 10 gennaio).
Si è richiamato alla memoria degli italiani un’altra figura essenziale per la nascente democrazia italiana nella prima metà del secolo, come Giolitti (Ricciardi, Il Riformista).
A Milano, la Sindaco Moratti giustamente prende l’iniziativa di intitolare a Craxi una via, come le tantissime “via Giolitti” sparse nell’intero Paese.
Insomma, pur fra molti affanni si stanno predisponendo gli elementi della memoria storica di Craxi, perché in un futuro più o meno prossimo, lontano dai clamori o dai settarismi della passione politica, su Craxi e il craxismo gli Storici possano pronunciare il giudizio inesorabile (quello sì, per quanto non unanime) della Storia.
E’ ciò cui concorre la Fondazione Di Vagno con il Convegno del 29 gennaio, per il quale, più che per la celebrazione dell’evento, ha convocato giovani studiosi di storia e socialisti-testimoni: per l’avvio di una discussione obiettiva, per quello che è possibile al “testimone”, sul ruolo di Craxi dirigente politico e statista.
Vi sono cose di questi giorni, tuttavia, che non possono essere tollerate.
La faziosità, le bugie, i tentativi di manipolazione, quell’insieme che non fa la Storia.
E’ una manipolazione politica e storica l’accostamento con Berlusconi, che non giova neppure a Craxi: quando si paragonano le due figure per la persecuzione della Magistratura, ma anche per il rispettivo ruolo alla guida del Governo
.
Craxi è stato tratto a giudizio per fatti legati solo alla sua attività di dirigente politico; Berlusconi è “perseguitato” dai Giudici (ammettiamolo pure!) solo per vicende legate a presunti reati quale capo del suo impero finanziario.
Craxi, “il cinghialone”, ha governato il Paese e diretto il suo Partito sempre nel rispetto delle regole democratiche e della Costituzione; altrettanto non può dirsi del Berlusconi che delegittima il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale “a maggioranza di sinistra”.
Sono menzogne autentiche quelle di Giorgio Bocca (La Repubblica, 5 gennaio) che nel rapporto con il finanziamento della politica presenta un Craxi esistito solo nella sua fantasia, con bugie raccontate (forse) dai suoi nemici interni.
Perché sanno tutti, Bocca per primo, che le cose non andavano così: e che a Piazza Duomo 19, a via Del Corso, a via Tomacelli (gli uffici di Craxi) c’erano code interminabili di “clienti” in doppiopetto scuro, e con auto blu al seguito, per “chiedere” favori, appalti e commesse, pronti a tutto pur di violare le regole della concorrenza, più che per farsi concutere.
Una verità nota a molti dirigenti socialisti sulla quale sarebbe ora di parlare e che la maggior parte dei Giudici e dei giustizialisti sia pur tardivamente ha riconosciuto: ma di cui nessuno parla più. Come accade in questi giorni per la vicenda Del Turco.
E’ frutto di faziosità la “patetica” (Bobo Craxi) manifestazione di Milano capeggiata da Antonio Di Pietro che a distanza di quasi vent’anni si ostina a non voler prendere atto della sconfitta della linea sua e del suo capo Borrelli che pretendevano di rovesciare per via giudiziaria un sistema che invece è peggiorato e che non si è “purificato”.
Sicché - più che ripercorrere la strada tra giustizialismo e legalità, fra corruttori e concussi, vittime e persecutori - oggi sarebbe necessario fare di conto di quel poco che resta del giustizialismo, anche per bocca dei suoi maggiori cantori.
E anche di discutere, purchè senza ipocrisie e falsi moralismi, il tema del finanziamento della politica, delle differenze fra ieri e oggi: della via che prende oggi quello pubblico (che ne dice Di Pietro?) per la vita di partiti in via di estinzione, della formazione politica e dei rispettivi dirigenti.
E' ormai storicamente appurato il contributo che i socialisti italiani, attraverso Craxi, hanno determinato alle lotte per la libertà in tutto il mondo (Grecia, Palestina, est d’Europa, Cile ecc.).
Questi, fra gli altri, i temi che pone il decennale della scomparsa del Craxi, il grande percettore di tangenti: forse, finanche quello se sia stata giusta la sua fuga-esilio, più che se sia opportuno che a Craxi, nella sua Milano, sia intitolata una strada.
Lasciamo la faziosità a Di Pietro e a Borrelli, i quali credono ancora di portare sulle spalle quella toga che, il primo non esitò e che il secondo sarebbe stato prontissimo a deporre, in cambio di uno scranno nella politica.
E cerchiamo di consegnare la lezione in particolare ai giovani socialisti, con l’invito a loro a chiederne di più a chi non è più tale (ahinoi!), e che quei fatti conosce, anche per averli vissuti non sempre senza conseguenze personali: ma con dignità umana e politica.
10 gennaio ’10