7 dicembre 2011

Spunti di un discorso mai pronunciato

di Manuel Santoro


* Alcuni spunti del mio discorso per l'Assemblea nazionale del PSI a Fiuggi. Tali spunti sono ripresi dal "Documento politico-programmatico di un Partito Socialista Italiano" precedentemente scritto e pubblicato.


Penso che sia importante, oggi, in questa occasione puntualizzare alcuni aspetti che reputo fondamentali per comprendere le potenzialità dei socialisti e del partito socialista oggi in Italia.

Voi tutti sapete benissimo come, negli ultimi decenni, la società italiana si sia culturalmente impoverita, degradata, impaurita.

Tale processo recessivo ha coinvolto la politica, tutta, nella sfera dell’autorevolezza, delle capacità, dell’intelligenza.

In questo lento declino, la sinistra italiana non è stata capace di ridefinirsi come forza aperta alle individualità ed ai corpi intermedi, alle risorse attive del Paese, vagando inebriata nel limbo della marginalità politica e sociale.

In questo lento declino, è evidente come i partiti di sinistra, inclusi quelli via via geneticamente modificati del dopo PCI, abbiano visto dileguarsi un ancoraggio culturale ed ideale con la propria gente.

Lentamente, l’individuo, l’elettore, il militante, che aveva, a sinistra, un punto di riferimento consolidato nel tempo, si è visto orfano e, vagando negli anni alla ricerca di un approdo familiare, si è culturalmente metamorfosato in qualcosa di diverso oppure eclissato nell’indifferenza.

Tutto questo, poi, condito dalla comparsa di sistemi elettorali sostitutivi della concezione inclusivista del proporzionale.

Sistemi elettorali che hanno rimosso pezzi consistenti della società civile dall’essere laicamente rappresentati nelle istituzioni, a tutti i livelli, inaridendo il dibattito politico e declassando parte della partecipazione culturale e sociale nei sotterranei della società attiva, all’ombra dei palazzi del potere.

Negli ultimi anni, compagni, la sinistra in Italia si è vista lentamente erosa nelle idee e nel consenso.

Se mentre da un lato il graduale scivolamento verso posizioni più moderate ha avuto il suo peso con le sue contraddizioni ideali, dall’altro una sempre più spiccata propensione autoreferenziale ha fatto il resto, creando un distacco profondo con la militanza, inaridendo le menti più volenterose e lasciando terreno aperto ai valori delle destre.

Ecco compagne e compagni. Io penso che il Partito Socialista debba essere baluardo di una rinascita della sinistra in questo paese.

Penso che il Partito Socialista debba essere epicentro di un percorso di aggregazione per una sinistra aperta, inclusiva, democratica, plurale, meritocratica, paritaria ed accogliente di tutte quelle idee, idealità e programmi che sorgano nel nome della libertà, dell’eguaglianza e della giustizia sociale.

Una sinistra radicalmente riformista fermamente ancorata al PSE ed all’Internazionale Socialista.

Una sinistra che sappia valorizzare e perseguire con saggezza un ancoraggio forte con i cittadini, con le comunità, con la società intera.

Una sinistra che sappia ricercare costantemente un rapporto privilegiato con la base, e dalla base, comprendere i problemi ed i bisogni reali della società.

E quali sono, oggi, compagne e compagni, i problemi della società.

Il problema cardine è la crisi strutturale e globale dei processi finanziari e bancari.

L’impatto della crisi sui tessuti produttivi e sulle economie reali è l’effetto di una chirurgica ed autonoma autoregolamentazione del sistema finanziario e bancario multinazionale, lontana da un controllo politico altrettanto internazionale.

Non parlo delle realtà medio-piccole, sia nella finanza che nel bancario le quali hanno e devono avere un ruolo nell’economia di una società.

Si evince, invece, come il nodo strutturale da risolvere sia l’incapacità della politica di organizzarsi e strutturarsi in modo tale da poter competere con la grande finanza ed i grandi istituti bancari i quali, da decenni, sono ormai complementarmente organizzati a livello internazionale.

Si evince come il mondo in cui la politica nazionale regolamentava la finanza ed il bancario sia ormai svanito.

Si evince come, negli ultimi decenni, il grande sistema bancario e finanziario si sia internazionalizzato, salendo di livello, escludendo così la politica incapace di organizzarsi e regolamentare.

Siamo ad un conflitto tra due livelli.

Un livello basso composto dalla società civile tutta e dalla politica segregati in un ambito nazionale e, quindi, localistico.

Un livello alto composto dal grande capitale la cui globalizzazione dei processi bancari e finanziari ha prodotto una convergenza transnazionale in grado di autoregolarsi bypassando le diverse regole nazionali e le deboli regole internazionali.

E’ in questo quadro che il Partito Socialista Italiano ricerca una propria voce. La propria anima.

Un’anima che deve essere socialista, per una sinistra radicalmente riformista e per una economia a misura d’uomo.

Care compagne e compagni, io sono convinto che ancora oggi il Partito Socialista stia ricercando la propria anima.

Un’anima ad oggi invisibile che attende di essere rivelata.

Un’anima che dovrebbe raccogliere un popolo in diaspora, plurale, profondamente laico.

Un’anima composta da uomini e donne che vivono quotidianamente una vita impegnata e che ricercano senza successo un luogo dove sia possibile discutere, interagire e mettere in pratica le proprie idee.

Un’anima composta da elettori, simpatizzanti e militanti socialisti orfani da tanto tempo, senza più alcun punto di riferimento.

Un’anima che fa politica nei territori e per i territori, investendo in un processo culturale di lungo periodo.

Un’anima che forgia la sua forza nella società solo attraverso un processo lungo di sintesi politica e di ricerca di nuove idee, nuovi concetti.

In parole povere, un nuovo modello di organizzazione della società.

Ricerchiamo allora questa anima socialista iniziando a discutere di quale Paese vogliamo.

Discutiamo di sviluppo economico, sviluppo culturale, sociale, ambientale.

Questo è il nostro compito nel nostro Partito.

Consideriamo, però compagni, che lo sviluppo complessivo di un Paese non deve ridursi miseramente a cartina di tornasole della sua sola crescita economica come se questo fosse sufficiente ad innalzare gli standard di vita della popolazione e ad aumentare il benessere e la qualità della vita del cittadino.

E’ difatti vero che la rincorsa sfrenata alla sola crescita economica, oltre che a deprimere la qualità della vita di sacche sempre più vaste di popolazione, tende a dimenticare l’individuo riducendolo a vittima sacrificale di forme sempre più incisive di povertà mentre intorno si dispiega sfacciatamente il graduale dissolvimento della solidarietà umana per colpa di una cultura di stampo liberista.

Compagni, sono otto i milioni di cittadini italiani che vivono in condizione di povertà e quasi quattro milioni in povertà assoluta e tutti rivendicano con rabbia la riconquista della propria dignità di essere umano.

E’ indubbio, allora, che la società italiana vada rifondata nel suo tessuto economico valorizzando una economia a misura d’uomo, solidale.

Evitiamo di rincorrere forme economiche globalizzanti che portano all’apoteosi dell’individualismo di massa con le sue povertà, spirituali e materiali.

Aumentiamo e miglioriamo il lavoro, che sia sempre più voluto e non subito, e, parallelamente, miglioriamo la sua qualità, ricordandoci che il lavoro è solo parte, di certo importante, dell'esistenza umana.

Rafforziamo, quindi, il binomio lavoro-qualità della vita.

Ripensiamo all’idea che una politica economica che si concentri sul lavoro in quanto tale senza prendere in considerazione la qualità della vita dell’individuo sia una politica deficitaria che manca di analizzare il problema lavoro da una prospettiva più ampia, strategica.

Parliamo, quindi, di progettualità per la definizione e l’implementazione di nuove tipologie di lavoro inserite in un quadro che tenga conto della dignità della persona e dell’ambiente.

Per tutto questo l’Italia e gli italiani ci chiedono un riformismo radicale.