30 luglio 2012

Gli operai di Asor Rosa

di Alessandro Leogrande

dal “Corriere del Mezzogiorno” di Domenica 29 Luglio 2012


Vista da grande distanza, l’esplosione della “questione Taranto” può apparire di difficile lettura. Così, per dissipare le ombre, capita che in molti facciano uso di schemi e arnesi ideologici posticciamente appiccitati a una realtà oltremodo complessa. Ad avere un po’ di tempo, si potrebbe raccogliere un’antologia. Tra i casi più eclatanti, c’è sicuramente l’editoriale di Alberto Asor Rosa apparso ieri su “il manifesto”. Titolo tranchat: Operai e padroni, strana alleanza.

Ora occorre ricordare che il professor Asor Rosa, oltre che critico letterario, è stato uno dei principali esponenti di quella corrente di pensiero marxista, unicamente italiana, nata sulla scia dei libri di Mario Tronti e nota come “operaismo”. Probabilmente la stragrande maggioranza dei giovani operai dell’Ilva, che per due giorni hanno bloccato la città di Taranto, e ora attendono con il fiato sospeso il pronunciamento del Tribunale del riesame, nulla sanno di cosa sia stato l’operaismo nostrano – quella particolare forma di scissione intellettuale tra operai reali, in carne e ossa, con le loro sfumature, la loro umanità, le loro debolezze, e la loro astrazione filosofica, la loro trasformazione in soggetto hegeliano di filosofia della storia: un’entità compatta, priva di crepe, dalla rude forza, inevitabilmente opposta al “nemico di classe”… Tali cose, per quanto la stragrande maggioranza di quei giovani operai probabilmente lo ignori, sono state scritte in fiumi di inchiostro, proprio negli anni in cui la vecchia Italsider aumentava costantemente la sua produzione. Eppure bastava guardare la vita reale di quei nuovi operai, in particolare dei “metalmezzadri” jonici, per rendersi conto di quanto irreali fossero quelle idealizzazioni, e per dar ragioni alle dure critiche mosse ai Tronti e agli Asor Rosa da un grande socialista di sinistra oggi quasi del tutto dimenticato: Raniero Panzieri, suscitatore di inchieste sulla vita vera degli operai.

Oggi il professor Asor Rosa dà un rapido sguardo alle proteste di Taranto e si accorge che qualcosa non torna. Così scrive sul “manifesto”: “Il dato inquietante è che, in tutti i casi del genere, gli operai si schierano senza se e senza ma dalla parte del padrone, e non della cittadinanza (cui pure, ovviamente, appartengono)”.

Il soggetto operaio, insomma, non starebbe interpretando la sua parte di soggetto operaio. Ma, al di là della constatazione di un vecchio refrain operaista, sorge davvero spontaneo chiedersi: che film ha visto Asor Rosa?

Capire cosa pensino gli operai, tutti gli operai, in un momento convulso come questo, è molto difficile. Basta prendere ad esempio le trasmissioni televisive di questi giorni, quelle trasmissioni in cui con rapide interviste si prova a sondare cosa pensi “la classe operaia” circa il possibile blocco dell’area a caldo. Un coacervo di idee: i poveri inviati che piazzano, come orsi da fiera, dieci operai davanti alla telecamere, si ritrovano sovente con dieci opinioni diverse, e drammi umani spesso difficili da condensare in poche parole. È la vita che è così, verrebbe da dire ad Asor Rosa citando l’Amleto: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia”.

Eppure, se proprio un filo comune è possibile rintracciare nel coacervo delle dichiarazioni, un minimo comun denominatore di ansiosa saggezza, questo contraddice quanto sostenuto da Asor Rosa. Gli operai non saranno forse il soggetto di una nuova storia, ma la sanno lunga. Tanto da distinguere chiaramente tra le due ordinanze del gip: quella degli arresti dei dirigenti e quella del sequestro degli impianti. Sulla prima, il senso comune espresso nei picchetti è stato molto chiaro: la magistratura deve fare il suo corso, il processo ci deve essere, le responsabilità (per altro già esperite in fabbrica) devono essere pienamente accertate. E – detto per inciso – se venisse un domani accertato il cosiddetto “dolo eventuale”, secondo cui i dirigenti non potevano non tenere in considerazione le conseguenze di un simile sistema di produzione, la sentenza di condanna potrebbe essere esemplare come nel caso dell’Eternit.

È sul secondo punto, il sequestro degli impianti, che è esplosa la protesta. Ed è esplosa non perché si voglia difendere un’area a caldo che produce malattie, ma perché lo spettro della disoccupazione, in una città già in crisi, fa tremare. E per dirla tutta, in un’epoca di “fiscal compact” e di “spending review”, tutti questi soldi per un intervento pubblico di bonifica oggettivamente saranno difficili da trovare. La paura diffusa è un dato di fatto.

Tuttavia Asor Rosa continua: “Nella crisi le giustificazioni dell’attacco all’ambiente e al territorio – a qualsiasi prezzo e a qualsiasi condizione – aumentano a dismisura. L’alleanza padronato-classe operaia rischia di diventare strategica.”

Strategica? La questione è semplicemente più complessa, più drammatica. Sono tutti d’accordo che bisogni armonizzare il diritto alla salute con il diritto al lavoro. Nessuno lo nega. Semmai è la “strategia” da seguire a essere oggetto di animate discussioni.